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ROMA – È difficile immaginare una quotidianità priva di smartphone, I-pad, computer o elettrodomestici e illuminazione, domestica o pubblica. Eppure, in tanti luoghi del mondo l’energia elettrica è ancora un privilegio di pochi. La mancanza di accesso a “beni o servizi energetici essenziali” è definita “povertà energetica” e secondo l’International energy agency (Iea) colpisce un miliardo di persone, sugli otto miliardi che in totale popolano il pianeta, mentre altre 2,7 miliardi di persone sono costrette a usare combustibili inquinanti per cucinare (come legno, carbone o altri materiali).
Il fenomeno è complesso, perché è un intreccio di fattori che riguardano la capacità della singola nazione di produrre o acquistare energia, le condizioni della sua rete infrastrutturale, la presenza o meno di specialisti del settore che siano in grado di installare e manutenere gli impianti, fino alla disponibilità economica delle singole famiglie. In ogni caso, i Paesi in via di sviluppo sono naturalmente i più svantaggiati.
Tra questi, il Burundi. Sempre secondo stime dell’Iea, nel Paese dell’Africa orientale ha accesso all’elettricità appena il 10% della popolazione, che conta circa 13 milioni e mezzo di persone, di cui il 90% risiede nelle zone rurali.
È per questo che si è concentrata proprio nelle zone lontane dalle città il progetto ‘Umuco W’Iterambere’, che in lingua kirundi significa ‘La luce dello sviluppo‘. Finanziato dall’Unione Europea nell’ambito di un più ampio intervento, ‘Umuco W’Iterambere’ è stato assegnato a tre consorzi, di cui uno guidato da Avsi Foundation in collaborazione con la Norwegian Church Aid (Nca) per fornire l’accesso a un moderno, efficiente e sostenibile servizio per l’energia di base per le popolazioni rurali.
L’azienda italiana EnGreen – fondata quattro anni fa da giovani ingegneri e architetti per rispondere alla povertà energetica nel mondo – ha fornito assistenza tecnica, installando pannelli fotovoltaici e mini greed. Ne parla con l’agenzia Dire Federico Trezza, 27 anni, tra gli ingegneri del progetto: “In Burundi siamo intervenuti nelle zone rurali, in particolare nelle provincie di Kayanza, Ngozi e Kirundo, occupandoci sia di installazioni fotovoltaiche in centri multiservizio, ossia centri che sono andati poi ad elettrificare mulini solari, decorticatrici, piccole falegnamerie, pompe per l’irrigazione e così via, che di elettrificare centri più piccoli dedicati solo all’alimentazione di uno di questi macchinari”.
In totale, sono stati raggiunti 26 centri rurali, per lo più cooperative agricole attive nel settore economico cardine per il Paese. Il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo delle Nazioni Unite (Ifad) riferisce che l’80% della popolazione del Burundi dipende dalle coltivazioni per il proprio reddito, mentre la produzione agricola contribuisce al 40% del Pil. Il progetto ha puntato però anche a dotare le case di sistemi di ‘clean cooking’, cucina pulita. In totale sono state raggiunte 19mila famiglie, pari a 114.813 persone, agevolando la vendita di oltre 4.400 sistemi solari, tenendo conto della capacità economica delle famiglie vulnerabili. Equipaggiati inoltre sette centri sanitari e 25 scuole. Riccardo Bevilacqua, responsabile progetti Avsi in Burundi, evidenzia il fatto che, prima di questo intervento, “le scuole non potevano usare proiettori o computer. Ora tutto questo diventa possibile“.
Ancora Trezza interviene per evidenziare l’importanza per i coltivatori di “trovare un sistema energetico gratuito e ‘verde’ installato all’interno della cooperativa agricola, che in Paesi come il Burundi è un centro di aggregazione importantissimo”. In questo quadro, prosegue l’esperto, “l’impatto positivo del progetto è dovuto soprattutto all’uso produttivo dell’energia, che non si limita a portare illuminazione, ma genera una spinta dinamica alla produzione e quindi al profilo economico della cooperativa”.
Quest’ultima quindi, grazie alla disponibilità di corrente elettrica che alimenta i diversi macchinari, “sarà messa nelle condizioni di ampliarsi, offrendo più servizi, e raggiungendo una maggiore solidità economica”. Insomma, più benessere, con ricadute positive sulla vita della famiglia e dell’intera comunità.
Il Burundi è anche esposto agli effetti più gravi dei cambiamenti climatici. Secondo le Nazioni Unite, le temperature potrebbero aumentare fino a 2,5°C entro il 2050, rendendo i periodi di siccità più lunghi e, parallelamente, le piogge più abbondanti, con un maggior rischio di inondazioni ed erosione del suolo. Tutti fenomeni che pongono sfide all’agricoltura e alla sicurezza alimentare. Trezza evidenzia come il progetto ‘Umuco W’Iterambere’ rappresenti una risposta anche in questo senso, “garantendo la produzione anche nei mesi in cui le piogge si fanno scarse e le comunità sarebbero generalmente costrette ad acquistare i prodotti che non possono essere coltivati”.
L’azienda EnGreen ha realizzato progetti di questo tipo anche in Mozambico, Ruanda, Repubblica democratica del Congo, Tanzania, Mali, Libia e Marocco. Ora guarda alla Guinea “per migliorare la qualità della vita della popolazione e sostenere il Paese nel suo impegno di aumentare l’uso di fonti di energia rinnovabile”.
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