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Lavoro, l’ex ministro Damiano: “Lo smart working? Va regolamentato”

Il presidente dell’associazione Lavoro&Welfare, che domani sarà tra i relatori del convegno inaugurale di ‘Ambiente lavoro’, parla di sicurezza e di impiego ai tempi del coronavirus

Pubblicato:30-11-2020 19:05
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:40
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cesare damiano
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BOLOGNA – Negli ultimi 30 anni “grandi cambiamenti sono avvenuti” per migliorare la sicurezza sul lavoro. “Ma non bisogna abbassare la guardia”. Il monito arriva dall’ex ministro Cesare Damiano, presidente dell’associazione Lavoro&Welfare, che domani sarà tra i relatori del convegno inaugurale di ‘Ambiente lavoro’, il salone sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro tradizionalmente ospitato a Bologna e giunto alla sua 30esima edizione (quest’anno in versione online a causa della pandemia).

“La prima volta che ho sentito parlare di sicurezza sul lavoro era il 1962- ricorda Damiano, in un dialogo con l’agenzia Dire- avevo 14 anni. Ne parlò la trasmissione ‘Canzonissima’ diretta da Dario Fo e Franca Rame. Per aver fatto uno sketch sulla caduta dall’alto di un muratore, entrambi furono cacciati dalla Rai. Nel 2007, invece, quando ero ministro al Lavoro, la moral suasion veniva dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano”. Insomma, negli ultimi 30 anni “è cambiato quasi tutto– sottolinea Damiano- sono anche orgoglioso di essere riuscito a concludere, insieme all’allora ministro Livia Turco, l’iter del decreto 81 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro”. Prima del 2008, quando quella legge fu varata, “avevamo una media di 4,5 morti al giorno- ricorda l’ex ministro- poi quella media si è abbassata a tre al giorno, i mille morti all’anno che purtroppo ancora oggi funestano l’Italia”. Quindi, tira le somme Damiano, “grandi cambiamenti sono avvenuti, ma non bisogna abbassare la guardia”.


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ANTICIPARE LA PENSIONE PER RIDURRE GLI INFORTUNI

Tra le proposte dell’ex ministro c’è anche quella di anticipare l’età della pensione per alcune categorie di lavoratori per ridurre infortuni e incidenti mortali: “L’innalzamento della prospettiva di vita porta a spostare in avanti il momento della pensione. Ma io non credo che potremo pensare di andare avanti con un automatismo che porti le persone a lavorare fino a 70 anni, perché ci sono alcuni lavori che non lo consentono”, avverte Damiano.

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“Non tutti i lavori sono uguali e chi fa lavori usuranti e più esposti vive meno rispetto a chi fa lavori meno faticosi sul profilo fisico”, ricorda l’ex ministro. “Il nostro obiettivo è individuare le categorie che sono maggiormente esposte e, in quest’ottica, tarare il momento dell’anticipo pensionistico”, spiega. Quali sono? “Le classiche categorie dei lavori usuranti, poi ci sono le categorie dei lavori gravosi, ma anche chi è senza lavoro, che può andare in pensione soltanto al raggiungimento dei 30 anni di contributi e 63 di età. Aggiungerei, vista anche la pandemia, coloro che sono più esposti, come il personale sanitario, ma anche i commessi e cassieri”, elenca Damiano. Insomma, “individuare le categorie più a rischio e consentire loro di andare in pensione prima” può rivelarsi “uno strumento di prevenzione, perché allontana dal pericolo e può diminuire le cause di morte o di infortunio”, conclude il presidente di Lavoro e welfare.

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ATTENUARE L’IMPATTO ECONOMICO PER EVITARE LA DISOCCUPAZIONE

“Chi non appartiene a queste categorie è anche giusto che lasci un piccolo pegno, del 2% o 3% all’anno, per ogni anno di anticipo sulla pensione rispetto ai canonici 67 anni”, puntualizza. Un’operazione costosa per la previdenza pubblica. “Le coperture sono sempre un discorso complesso. Facendo un calcolo ragionevole si possono trovare”, assicura Damiano. “A causa della pandemia, l’arretramento dell’economia può avere delle conseguenze occupazionali. Non possiamo permetterci di arrivare, esaurita la cassa integrazione e finito il blocco dei licenziamenti, al memento nel quale molte persone rischieranno di perdere il lavoro. Bisogna avere strumenti che attenuino questo impatto e la previdenza può esserlo”, conclude.

LO SMART WORKING VA REGOLAMENTATO

Con lo smart working in futuro “scompariranno gli straordinari, le malattie brevi saranno assorbite” e ci sarà un “aumento della produttività”. Questo porterà a “forti risparmi per le imprese“, che devono essere “regolamentati e redistribuiti“, anche a favore dei lavoratori stessi, spiega Damiano. Lo smart working, mette in guardia l’ex ministro, “non è una nuova forma di flessibilità del lavoro a chiamata, a disposizione dell’imprenditore. È lavoro dipendente, che ha lo stesso contratto di chi lavora sempre in ufficio o in officina”. Quindi quella persona “ha le stesse regole e la stessa paga di un normale lavoratore- insiste Damiano- altrimenti potremmo immaginare che questa è una nuova forma di flessibilità che si aggiunge a quelle precedenti”. Per questo, sottolinea Damiano, “sarebbe opportuno regolamentare nei contratti di lavoro questa nuova forma di attività”. Grandi imprese come Leonardo, Enel ed Eni, cita Damiano, hanno già previsto almeno il 30% di dipendenti in smart working nel futuro. Le aziende così “possono risparmiare metà degli affitti sugli uffici e delle utenze”.

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Dall’altra parte, lo smart working porterà allo stesso tempo anche “un incremento di produttività” da parte del lavoratore. “Scompariranno gli straordinari- prevede Damiano- e le malattie brevi saranno assorbite dal lavoro domestico. Quindi grandi risparmi aziendali, che vanno regolamentati e che possono essere redistribuiti un po’ per l’impresa e un po’ per il lavoratore. Questo è un compito delle parti sociali”.

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L’IDEALE È LAVORARE UN PO’ DA CASA E UN PO’ IN UFFICIO

L’altra questione che emerge dallo smart working, avverte l’ex ministro, riguarda lo stipendio. “Un tempo il lavoratore veniva pagato a ore- ricorda Damiano- ma col lavoro a distanza prevarrà il risultato. Quindi da un concetto di retribuzione legata a una prestazione si passa a una retribuzione in base al risultato. È una rivoluzione anche questa, alla quale dobbiamo guardare dal punto di vista culturale, sindacale e legislativo”. L’aspetto positivo dello smart working, analizza poi l’ex ministro, “è che non si fa traffico, non si inquina, non ci si stressa, diminuiscono gli incidenti e si ha più tempo per la famiglia”. L’aspetto negativo invece è che “manca la comunità e il contatto” col gruppo in ufficio e in azienda. La cosa importante, però, è che “deve essere una forma mista. Lo smart working, o meglio l’home working, non è lavorare da casa, quello è il telelavoro- sottolinea Damiano- lo smart working è lavorare sia a casa sia in ufficio: non bisogna commettere errori”. Tra l’altro, rimarca l’ex ministro, il lavoro a distanza riguarda solo “una porzione” delle attività lavorative, cioè quelle “di tipo intellettuale”, perché “non si può certo portare la catena di montaggio in camera da letto”, chiosa Damiano.

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