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Il racconto degli infermieri pestati a Modena: “Botte in un angolo e sangue dappertutto. Abbiamo paura a uscire”

L'agghiacciante racconto dei due infermieri pestati lunedì dai familiari di una donna calabrese ricoverata all'ospedale di Baggiovara, in provincia di Modena: uno dei due è stato incantonato in un angolo e riempito di calci e pugni

Pubblicato:30-10-2024 16:23
Ultimo aggiornamento:30-10-2024 16:29

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MODENA – “Non permettetevi di farmi toccare da un infermiere tirocinante, io sono una dirigente sanitaria”. Avrebbe reagito così, a Modena, la paziente di Cardiologia parente di tre persone che hanno poi picchiato due infermieri, l’altro giorno, che hanno dovuto farsi curare con 10 e due giorni di prognosi. “Ma ora abbiamo anche paura di uscire di casa e di andare a lavorare”, dicono Maurizio Alaimo e Vincenzo Giambruno, i due infermieri feriti, entrambi 36enni, che lavorano per l’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena da qualche anno, all’ospedale di Baggiovara. Si presentano oggi in pubblico, con visibili segni al volto e difficoltà a muoversi per i colpi alle costole ricevuti, ripetendo come si sia trattato di “una follia” mai vista. L’occasione è una conferenza stampa della Cisl Emilia Centrale che sta seguendo i due interessati a livello legale (avvocato Lorenzo Muracchini) e psicologico.

Spiega Alaimo, l’infermiere che ha avuto la peggio: “La mattina del 28 ottobre sono andato al lavoro come tutti i giorni e al mio fianco avevo un tirocinante del terzo anno del corso di laurea in Infermieristica Unimore, in formazione. Gli ho chiesto di effettuare un prelievo ematico alla paziente, ricoverata in Terapia intensiva cardiologica, che fra l’altro è stata la prima cui il giovane si è approcciato nel suo percorso di studi”. Per il tirocinante era il primo giorno e la prima paziente, dunque. A un certo punto, racconta Alaimo, la paziente “ha detto che, essendo ‘una dirigente sanitaria di Reggio Calabria’, non si sarebbe fatta ‘toccare’ dai tirocinanti. Le ho detto subito che stava dando un pessimo esempio, invece di agevolare la formazione dei giovani sanitari. Questa mia affermazione l’ha fatta arrabbiare, ma la cosa sembrava risolta lì. Dopo aver eseguito personalmente il prelievo, da professionista quale sono, non ho avuto più contatti con questa persona”.

Ma continua l’infermiere: “Ho continuato a fare il mio lavoro, ma dopo un’oretta in reparto hanno fatto irruzione tre parenti della paziente. Il marito, il figlio e la figlia, che si è qualificata come un’avvocata di Modena. Urlando, hanno detto ‘fuori i nomi‘ ed io, sentitomi tirato in causa, mi sono presentato. Lì mi hanno aggredito verbalmente, in modo pauroso. La figlia, in particolare, mi ha minacciato di farmi passare ‘le pene dell’inferno dal punto di vista legale’, dicendomi di tutto e di più. Il figlio si è presentato come rappresentante sindacale, anche se non so bene di quale sigla, promettendomi a sua volta che mi avrebbe reso la vita difficile. Figlia e figlio hanno quindi citato il proprio titolo professionale, per minacciarmi”.
Sul momento, prosegue Alaimo, “sono rimasto pietrificato, ma poi il marito della signora mi ha sferrato un pugno in volto. Ho cominciato a difendermi, ma sono stato assalito anche dal figlio, con altri pugni e calci. Allo stesso tempo tutti, compresa la figlia, hanno iniziato a mettermi in un angolo, per non darmi vie di fuga. È stato in quel momento che ho preso così tante botte che, oggi, ho paura di uscire di casa e di non vedere più mio figlio“. Rimarca provato l’infermiere: “Sono due giorni che non riesco a riposare, psicologicamente non sto bene e sono a terra, distrutto“. Quando sembrava tutto perduto o quasi, al culmine del pestaggio, “per fortuna, è intervenuto Vincenzo, aprendomi una via di fuga”. Continua nel racconto lo stesso Giambruno, che sul momento si trovava a cinque metri dall’ingresso del reparto: “Ho iniziato a sentire tanti rumori, di botte, e mi sono precipitato. La scena che ho visto poco dopo è stata da film horror: il collega, nell’angolo, picchiato ripetutamente da due persone, il figlio e il marito della signora, con calci e pugni, in mezzo al sangue che schizzava da tutte le parti”.


La figlia della paziente, continua Giambruno, “si trovava davanti, ad ostruire la fuga del mio collega: non l’ho vista sferrare colpi, l’ho vista bloccare il collega. Sono riuscito comunque, poi, a creare una via di fuga per Maurizio, prendendo a mia volta una botta in faccia, allo zigomo, anche se non so da chi. Adesso- conclude l’infermiere- ho paura di andare a lavorare”.

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