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La lezione, vera, dei ragazzi fuori dalle scuole

C'è chi sfascia e chi porta libri e pc davanti alle scuole: qual è la vera sfida lanciata alla politica e al mondo degli adulti?

Pubblicato:30-10-2020 12:25
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:09

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BOLOGNA – C’è chi protesta contro le regole (mascherina, distanziamento, coprifuoco…), e fa molto rumore; e c’è chi protesta perché vorrebbe il rispetto della ‘regola’: ad una certa età, si va a scuola, ma di rumore non ne fa quasi per nulla. In questi ultimi giorni, in cui il Covid inizia a far la voce grossa facendo capire che lui no, non sta scherzando (mentre noi, abituati, viziati da alcuni automatismi della nostra società, stiamo scherzando col fuoco), colpisce il modo in cui alcuni studenti delle superiori hanno cercato di mandare segnali al mondo dei ‘grandi’.

A Bologna, il giorno dopo l”ordine’ di ritorno alla didattica a distanza si sono seduti sotto le finestre della Regione e non per additarla di colpe, ingiustizie o mancanze, ma perchè -parole loro- “ci pare l’ente più vicino allo Stato centrale e un possibile alleato nella lotta per un’educazione funzionale alle esigenze degli studenti”. Interessante, in epoca di sfiducia nelle istituzioni… Hanno tirato fuori i libri dagli zaini alzandoli al cielo dicendo: “Scuola, aule, studenti, professori, non possono essere sostituiti da schermi”. Quando abbiamo scritto che il loro era un ‘composto, sincero e fermo dissenso’, chi ha letto ha risposto con un sorriso pietoso. Poi, il bis: ecco una classe di un liceo classico che porta libri e computer e crea un’aula a cielo aperto dove ognuno segue la lezione in Dad. È curioso che avvenga davanti all’ingresso delle aule ora ‘negate’, quelle della Fiera di Bologna allestite a tempo di record in estate per dare nuove classi e garantire le lezioni in sicurezza e ora fruibili solo un giorno (1) a settimana dalle varie classi. Eppure, erano un modello della risposta all’altezza della sfida educativa ai tempi del Covid.


E così mentre i docenti postano sui social le immagini delle aule vuote da cui fanno lezione con il pc sulla cattedra, i ragazzi sono lì fuori a… studiare. Interessante anche questo. Sono i nativi digitali, ma si battono per una relazione vera, vitale si direbbe. Perfino con i loro prof. “Una volta si protestava per non andare a scuola, oggi per andarci”, diceva un politico osservando questi ragazzi. Ma c’è di più. C’è anche il modo in cui lo stanno facendo. D’autunno di solito era un fiorire di cortei e occupazioni studentesche spesso general-generiche, ora i ragazzi manifestano ‘stando al punto’. Non serve sfasciare vetrine, fanno vedere cosa è essenziale: avere una scuola, avere un prof che gli sta davanti, dal vivo e dal vero. Perchè, forse, sanno troppo bene che a casa sarebbe fin troppo facile ‘barare’, per usare un eufemismo. E’ troppo perfino per loro. E allora, grazie per un composto, sincero e fermo dissenso. Pochi, ma buoni.

Durante il fascismo, un gruppo di giovani scout, divenuto poi famoso come ‘Aquile randagie’, si ribellò allo scioglimento del loro movimento e giurò di resistere ‘un minuto più’ del fascismo: non si diedero alla resistenza, alla lotta armata; no, fecero quel che ritenevano essenziale, vivere la vita all’aria aperta, nei boschi. Ed era altrettanto pericoloso. E credettero in quell’avventura, diventando gli eroi che, conoscendo le montagne, aiutavano i perseguitati dai fascisti ad arrivare in Svizzera.

Una sfida per i ragazzi di oggi è ‘durare un minuto’ in più della Dad, mantenendo intatta questa voglia di scuola ‘vera’. Ma anche continuando a farlo vedere in modo intelligente. Forse così diventerà una sfida anche per gli adulti. Perchè, per dirla con le parole di chi ne sa un po’ di più (Stefano Costa, neuropsichiatra dell’infanzia e adolescenza dell’Ausl di Bologna), nella prima fase “i ragazzi sono stati molto bravi non solo nel rispettare le regole, ma a trovare espedienti e soluzioni per affrontare e superare il lockdown”, ma ora “credo che ci sia una fase di emergenza” e “nella programmazione delle risposte, i ragazzi non sono considerati una priorità. E questo non va bene. Come adulti abbiamo il dovere di destinare fondi e progetti che si rivolgano ai ragazzi in questa fase, che li facciano sentire utili e non li abbandonino all’inerzia di un periodo che potrebbe, se trascurato, portare alla creazione di una generazione lockdown”.

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