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Dallo spazio al fondo del mare, le “mani” ipertecnologiche dei robot

Bentornati a ScientificaMente, l’appuntamento settimanale dell’Agenzia DIRE dedicato allo Spazio e alla scienza. Questa settimana il nostro approfondimento

Pubblicato:30-10-2015 12:50
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:42

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Bentornati a ScientificaMente, l’appuntamento settimanale dell’Agenzia DIRE dedicato allo Spazio e alla scienza. Questa settimana il nostro approfondimento è sullo spazio e il mare: due affascinanti ambienti che hanno in comune misteri ancora celati agli occhi dell’uomo e innumerevoli difficoltà di esplorazione.

Nelle news:

  • E’ OXIA PLANUM IL CANDIDATO PER L’ATTERRAGGIO SU MARTE
  • ALLA CONQUISTA DI MARTE, SU EXOMARS ARRIVA UN NUOVO STRUMENTO ITALIANO
  • SCOVATE GIOVANI STELLE NEL CUORE (SCONOSCIUTO) DELLA VIA LATTEA
  • IL FOSFORENE LO FA MEGLIO (FORSE ANCHE DEL GRAFENE)
  • DALLO SPAZIO AL FONDO DEL MARE, LE ‘MANI’ IPERTECNOLOGICHE DEI ROBOT


E’ Oxia Planum il candidato per l’atterraggio su Marte. Oxia Planum, in prossimità dell’equatore di Marte, è il sito ‘primo candidato’ per il landing del rover di Exomars nel 2018, la missione ESA (Agenzia Spaziale Europea) di esplorazione robotica del pianeta rosso in collaborazione con l’agenzia spaziale russa Roscosmos. “La pianura di Oxia – spiega il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Roberto Battiston – è ritenuta ricca di ghiaccio ed acqua e sarà nei prossimi anni al centro dell’attenzione degli scienziati planetari. Qui atterrerà il lander di Exomars 2018 con il perforatore costruito in Italia che andrà a cercare cosa c’è sotto la superficie fino ad una profondità di 2 metri. Exomars è una missione di esplorazione articolata in due fasi. Il lancio della prima, con l’orbiter e il modulo dimostrativo di discesa e atterraggio Schiaparelli, è previsto nel marzo 2016 con l’arrivo su Marte sette mesi dopo. La seconda fase, il cui lancio è in programma nel 2018, prevede l’atterraggio sul pianeta rosso nel 2019 con un rover il cui principale obbiettivo è trovare tracce di vita.

Alla conquista di Marte, su ExoMars arriva un nuovo strumento italiano. A bordo della sonda ExoMars, che dal 2016 esplorerà il suolo di Marte, è appena salito il microriflettore laser INRRI (INstrument for landing-Roving laser Retroreflector Investigations) dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). INRRI diventerà il primo bersaglio laser passivo sulla superficie marziana e il primo oltre la Luna. Dovrebbe inoltre essere l’antesignano di una serie di microriflettori portati da futuri Lander o Rover, che assieme formeranno un Mars Geo/physics Network (MGN): una rete di punti di riferimento per misure di geodesia di Marte e test di Relatività Generale. A lungo termine questa rete potrebbe diventare una rete di posizionamento di precisione simile a quella dei retroriflettori laser delle missioni Apollo e Lunokhod sulla Luna. Non è escluso, infine, che INRRI possa essere anche usato come nuovo punto di riferimento geodetico primario e di precisione di Marte: una sorta di “Greenwich marziano”

Scovate giovani stelle nel cuore (sconosciuto) della via Lattea. Gli astronomi hanno scoperto una componente della Via Lattea prima sconosciuta, utilizzando il telescopio VISTA all’Osservatorio dell’ESO al Paranal (in Cile). Mappando le posizioni di alcune stelle variabili appartenenti alla classe delle Cefeidi, hanno trovato nel rigonfiamento centrale un disco di stelle giovani nascosto dietro a spesse nubi di polvere. Sono così state scoperte 35 Cefeidi classiche, cioè stelle giovani e luminose, che hanno meno di 100 milioni di anni. Le Cefeidi più giovani potrebbero avere appena 25 milioni di anni, anche se non si può escludere la presenza di stelle ancora più giovani e brillanti. L’età di queste Cefeidi classiche fornisce una prova solida del continuo rifornimento di nuove stelle, precedentemente non confermato, nella zona centrale della Via Lattea negli ultimi 100 milioni di anni. Ma questa non è l’unica scoperta importante dai dati dello studio. Costruendo la mappa delle Cefeidi scoperte, l’equipe ha tracciato una struttura completamente nuova nella Via Lattea – un disco sottile di stelle giovani che attraversa il rigonfiamento galattico. Questa nuova componente nella galassia che ci ospita è rimasta invisibile e sconosciuta alle indagini precedenti perchè è nascosta dietro a spesse nubi di polvere.

Il fosforene lo fa meglio (forse anche del grafene). Nel mondo della fotonica e in quello dell’elettronica molte cose potrebbero cambiare. Succede grazie al fosforene, ultimo arrivato in ordine di tempo nella ‘fattoria’ dei materiali bidimensionali, e già carico di promesse. Addirittura potrebbe essere più utile del grafene, definito il materiale del futuro. E’ su multistrati di fosforene, infatti, che si basa il dispositivo, realizzato da ricercatori dell’Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Nano-Cnr) e laboratorio Nest della Scuola Normale superiore, in grado di rivelare radiazione a frequenza Terahertz a temperatura ambiente e con bassi livelli di rumore. Il risultato, in collaborazione con Università di Montpellier, Tulane University, Università della Calabria e Università di Pisa, è pubblicato sulla rivista Advanced Materials. Il sensore ha mostrato prestazioni confrontabili con le tecnologie commerciali di ultima generazione, inoltre possiede qualità ottiche e elettriche molto versatili che permettono di ottimizzare la progettazione di simili dispositivi in base alle esigenze di applicazioni mirate candidandosi ad avere un impatto davvero innovativo sulla fotonica e l’elettronica.

Dallo spazio al fondo del mare, le ‘mani’ ipertecnologiche dei robot. Lo Spazio e il mare: due affascinanti ambienti che hanno in comune misteri ancora celati agli occhi dell’uomo e innumerevoli difficoltà di esplorazione. Ma la scienza e la tecnologia sono costantemente al lavoro su entrambi, e talvolta persino si incrociano facendo nascere degli interessanti scambi che riescono a spostare più avanti il limite della conoscenza. Che ci sia un rapporto stretto tra Spazio e mare non è una novità: proprio quest’estate l’astronauta italiano Luca Parmitano è stato a capo della missione NEEMO, al largo della Florida. Un progetto, giunto alla ventesima edizione, in cui gli astronauti si cimentano con delle sperimentazioni sottomarine. E’ di questi giorni la notizia di un robot inizialmente costruito per permettere agli astronauti di allenarsi per la vita a gravità zero che viene ora sperimentato sul fondo del mar Mediterraneo per raggiungere obiettivi del tutto diversi. Saranno infatti i robot, in un giorno non molto lontano, a camminare sui fondali dei mari per recuperare tesori dei pirati o archeologici, per estrarre dei minerali dal sottosuolo o per rinvenire le scatole nere degli aerei precipitati in mare. Ma come si è arrivati a questo progetto? L’aiuto robotico è molto importante per gli astronauti. Si affidano infatti a mani meccaniche per molte riparazioni e si fanno aiutare in numerose attività sulla Stazione spaziale internazionale. Ma questa collaborazione non è semplice. Gli astronauti devono lavorare a lungo per diventare abili. E allora l’Esa ha pensato di costruire la replica di un robot spaziale- l’Eurobot Wet Model- per permettere gli ‘allenamenti’ in una piscina, simulando così le difficoltà dello Spazio. L’esperienza è nata grazie alla collaborazione con Thales Alenia space, a cui si è aggiunto l’aiuto di Graal Tech, che ha fornito robot con tre ‘arti’ in grado sia di farli camminare che di far loro afferrare degli oggetti. Aggiungendo poi del materiale a ogni singolo braccio il risultato è stato una sorta di omino Michelin, ma senza problemi di locomozione: i ricercatori hanno pensato di farlo muovere come un granchio affinché non inciampasse. Lo racconta uno di loro, Alessio Turetta di Graal tech. L’esperimento riuscito si è concluso nel 2006, ma si è aperta una nuova strada, inaspettata: quella dei fondali marini. Dallo Spazio al mare, dunque. Adattando il braccio dell’astronauta a un veicolo sottomarino il risultato che si ottiene è quello di avere un mezzo tecnologicamente sofisticato in grado sia di muoversi che di compiere azioni complesse come, per esempio, quelle di afferrare e rilasciare. Lo hanno verificato i ricercatori che hanno sperimentato il robot sul fondo del Mediterraneo, in una zona vicina alle isole Baleari. Ora è il turno di una nuova sperimentazione. Esiste un progetto per i mari italiani, in cui a venire sperimentate sono due diverse macchine, ciascuna dotata di un ‘braccio’ speciale capace di afferrare oggetti grandi, manipolarli e spostarli, sempre sott’acqua. Ma non è il solo progetto in ballo. Gli scopi commerciali sono numerosi. Si parla, ad esempio, di una sperimentazione legata all’estrazione di gas o di metalli. Quest’ultima ha già ricevuto dei fondi. Di fatto i robot sottomarini potranno sostituire l’uomo anche per azioni molto pericolose. Sono novità importanti. Arrivano tutte, in un certo senso, dallo Spazio: è partito tutto dagli astronauti, adesso i benefici ricadono sulla Terra.

di Antonella SaliniGiornalista professionista

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