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MILANO – “Non ce ne importa proprio nulla della campagna acquisti, non mi importa nulla della squadra, non faccio le cose per lo striscione, non me ne frega proprio niente, nessuno lavora per il popolo. Volete andare in curva a cantare, a me non interessa, se io lo faccio deve esserci un rientro economico”. Questa è un’intercettazione di un capo ultras che affiora dalle indagini della Procura di Milano, citata dal procuratore capo Marcello Viola, secondo cui emerge “dalle indagini il fatto che i vertici delle due tifoserie avessero siglato una sorta di patto di non belligeranza che era evidentemente teso a massimizzare i profitti illeciti”. “Il fine, lo scopo dell’azione di alcuni di questi soggetti”, ha concluso sul punto Viola, “era legata a una passione di tipo puramente sportivo per mera ragione di facciata”.
Dalle carte emerge che alcuni ultras avessero contatti “con un giocatore che non gioca più nell’Inter, Skriniar, con l’allenatore dell’Inter (Simone Inzaghi, ndr), e con Davide Calabria del Milan”.
È quanto afferma il procuratore capo di Milano Marcello Viola, specificando comunque che “nessun tesserato e nessun dirigente delle due società è indagato”, perché “c’è una forma di sudditanza e non di complicità”.
Biglietti e sosta, ma anche bibite per conto di Fedez. Queste alcune delle attività espletate dagli ultras delle curve milanesi, come sottolineato dalla Procura. In particolare, gli investigatori sottolineano come il rapper Fedez abbia cercato di avvalersi della propaganda in Curva Sud (Milan) per vendere una bibita energetica di sua produzione. “Il rapper era interessato ad avere l’appoggio di alcune, diciamo, tifoserie per poi vendere queste bevande ai tifosi, diciamo così”, spiega la coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci nel corso della conferenza stampa sugli arresti di 19 persone appartenenti alle tifoserie organizzate di Inter e Milan.
“Ci sono delle conversazioni con lo Slo (addetto ai rapporti con le tifoserie, ndr) dell’Inter e con il personale della sicurezza, in un contesto di confronto sul numero dei biglietti stanziati dalla società per la finale di Champions League del 2023. Le aspettative degli ultras erano per un numero maggiore biglietti e c’è stata un’interlocuzione. La società ha così stanziato un numero maggiore di biglietti”.
Dolci accenna anche al “controllo totale sul bagarinaggio dei biglietti, sulla sosta, sulle bibite, con la finalità di tenere sotto controllo in maniera asfissiante l’intera situazione”.
“Credo che questa vicenda sia importante anche per l’occasione che si offre al dibattito pubblico per riflettere su motivi di rischio assai concreto che si proiettano su parte significativa del sistema del calcio professionistico e non professionistico italiano”.
Con questa frase il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo rende chiara l’idea di come ciò che sia accaduto oggi a Milano- con 19 esponenti delle curve di Milan e Inter arrestati e con una quarantina di indagati complessivi- sia un tema che riguarda l’intero territorio nazionale su cui le società, che “hanno adottato dei modelli organizzativi che hanno fatto emergere criticità”, devono collaborare.
Il problema per il procuratore nazionale, che ha incontrato la stampa a Milano, durante la conferenza stampa delle forze dell’ordine sul blitz, è “serio”, ed è “di rapporto tra impresa, in questo caso calcistica e attività criminali”, un rapporto “che può atteggiarsi in maniera diversa, può assumere forme estorsive dettate da pressioni intimidatorie violente oppure forme di acquiescenza o di agevolazione”.
Proprio per questo, la collaborazione delle società, che in questo frangente sono da considerare per gli inquirenti ‘soggetti danneggiati’, diventa fondamentale.
“Da questo punto di vista vi è un territorio che è un po’ terra incognita che va esplorato con prudenza facendo leva sulla consapevolezza delle società di dover dar conto dell’adeguatezza dei profili dei modelli organizzativi”, afferma Melillo, sottolineando appunto come il matrimonio tra clan mafiosi e calcio è più diffuso di quel che si pensi, e non attinge solo dai grandi palcoscenici del professionismo.
“È un tema che ha caratteri generali – prosegue il capo della Dna – e non si pone solo in questo caso ma si pone anche nel calcio apparentemente minore dove la presenza mafiosa non è tanto finalizzata all’acquisizione di profitti ingenti che ruotano attorno a uno stadio improntate e prestigioso come il Meazza, ma – precisa Melillo – ha una finalità di penetrazione imprenditoriale che serve da volano di spinte affaristiche più complesse. Un problema che non riguarda solo il Meridione ma anche il Nord Italia”.“
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