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BOLOGNA – La scuola ha smesso di essere un mezzo di promozione ed emancipazione sociale: se sei figlio di operai, il tuo futuro è quasi certamente già segnato.
Anche l’accesso ai servizi sanitari è condizionato dalla situazione economica: se non hai soldi da spendere, la sanità pubblica con le sue liste d’attesa è il tuo unico orizzonte, mentre chi può si rivolge al privato, non tanto perché è migliore, ma perché i tempi di accesso alle prestazioni sono più ridotti.
La casa? Molti ce l’hanno di proprietà, i giovani e chi guadagna poco faticano a trovarla, tanto che sono pronti anche ad andarsene.
L’inchiesta sociale condotta per conto della Cgil da Ires Emilia-Romagna tra febbraio e luglio 2024, consegna un quadro della condizione di tanti lavoratori, studenti e famiglie a Bologna che per certi versi sembra riportare indietro di molti decenni le lancette dell’orologio.
“Il benessere autoalimenta se stesso acuendo la diseguaglianza”, certifica il report, che ha analizzato oltre 8.000 questionari per capire come si si redistribuisce la ricchezza, il lavoro, le difficoltà di accesso alla casa, il welfare, la sanità, i servizi per la mobilità.
L’indagine individua tre macro strati sociali: se il primo livello, quello basso, vede la massima concentrazione di redditi non superiori ai 26.000 euro annui, di persone che non posseggono la casa in cui abitano e con titoli di studio e condizioni di salute mediamente al di sotto della media complessiva, lo strato medio ed elevato sono più simili sul piano quantitativo, mentre differiscono su quello qualitativo.
“La proprietà privata che torna ad essere un criterio distintivo nell’accesso ai servizi e, di conseguenza, nell’esigibilità dei diritti fondamentali. Rispetto a questa diseguaglianza sistemica, il lavoro gioca ormai un ruolo secondario”, è la conclusione a cui arriva lo studio.
Insomma, non basta più il lavoro ad emancipare le persone, soprattutto se si tratta di lavoro povero, come quello offerto nei settori dove l’occupazione è più cresciuta negli ultimi anni: servizi, ristorazione, alloggio, turismo. “Chi ha un salario non superiore ai 1.500 euro mensili, se non vive in una casa di proprietà e in assenza del supporto di un nucleo familiare, nella gran parte dei casi è escluso dagli strati superiori, esponendosi a quelle condizioni di difficoltà e marginalità che definiscono l’accesso alla città dello strato più basso”, stabilisce l’indagine.
Il lavoro nei servizi, in particolar modo quello nel commercio, nei servizi di ristorazione e alloggio e socio-sanitari oltre ad essere quello con i maggiori indici di rischio, è anche il segmento del lavoro che più spesso è popolato da personale di sesso femminile e più giovane. Non è un caso che proprio questi segmenti del campione si concentrino nello strato basso e non negli altri.
“L’appartenenza ad uno strato socio-economico condiziona l’accesso ai servizi estendendo la portata della diseguaglianza. Questo vale sia rispetto all’esigibilità di diritti fondamentali, come quello alla salute e alla casa, sia rispetto alla possibilità di emancipazione che i servizi dovrebbero offrire, come quelli educativi e dell’istruzione”, spiega il report. La scelta della scuola è influenzata dalla condizione socio-economica, sopratutto quando si arriva a decidere per le superiori. Lo strato basso è orientato verso istituti professionali e tecnici, mentre lo strato elevato verso licei e scuole superiori, meglio in grado di fornire una preparazione adeguata al proseguimento del percorso di studio. Anche l’università vede una maggiore presenza di studenti provenienti dallo strato medio, mentre lo strato elevato si distingue da quello medio per una maggiore propensione verso università private o fuori regione”, rileva l’indagine sociale.
“Questo mostra, da un lato, come le famiglie più abbienti investano maggiormente nell’istruzione dei figli, dall’altro come la scuola e l’educazione definiscano un ambiente idoneo alla conservazione della diseguaglianza più che al suo superamento”, è l’amara constatazione dell’Ires.
Una spesa imprevista di 850 euro sarebbe insostenibile per il 27,7% delle persone meno abbienti. Nell’ultimo anno, il 44% dei rispondenti ha dovuto ridurre o rinviare spese per beni o servizi per via di una qualche difficoltà economica: nello strato basso, le rinunce hanno riguardato per lo più le spese per la salute, le bollette e le spese alimentari. Negli strati medio ed elevato, invece, le rinunce hanno riguardato soprattutto viaggi, vacanze e servizi individuali. Nella gran parte dei casi il campione è composto da persone che posseggono la casa in cui vivono (53,2%), ma la quota di proprietari cresce nelle fasce di età più avanzate, fino al 69% tra gli over 50. Le difficoltà sono differenziate in base allo strato socio-economico e sono legate principalmente ai costi elevati (sia per l’acquisto che per l’affitto) e alle garanzie richieste dai proprietari e dalle banche.
L’accesso ai servizi sanitari è prevalentemente misto (pubblico e privato), ma lo strato basso si affida maggiormente al pubblico. Le ragioni che spingono le persone a rivolgersi al privato sono soprattutto legate ai tempi di attesa troppo lunghi del pubblico. Non si tratta quindi di una preferenza accordata al sistema privato in quanto tale, ma una necessità dovuta alla carenza strutturale del sistema pubblico. Per questo, la rinuncia alle prestazioni sanitarie (49%) è più frequente nello strato basso (56,4%). Infatti, se nel complesso si rinuncia prevalentemente per i tempi di attesa troppo lunghi (66%), nello strato basso pesano più che altrove i costi troppo elevati (26,5%) confermando la difficoltà di accesso alle cure per le fasce più vulnerabili e con il peggior stato di salute.
“Il benessere autoalimenta se stesso acuendo la diseguaglianza. L’inchiesta sociale sui costi della città metropolitana di Bologna mostra però la profondità di questa tendenza e la sua effettiva portata. Si tratta, a questo punto, di scegliere se puntare sulla riduzione di queste distanze o se lasciarle crescere e consolidarsi”, è la sfida lanciata dall’indagine.
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