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ROMA – Luca Lucci. Il capo ultrà del Milan dai mille precedenti penali che in queste ora torna in pagina sui giornali perché implicato negli incestuosi affari delle curve di San Siro, in una storia a largo spettro che finisce per unire, non collegati fra loro, ai capi opposti della vicenda la Ndrangheta e Fedez. Nel passato di Luca Lucci c’è la foto – famosissima – con Salvini, e una dolorosa vicenda per lo più dimenticata: anni e anni di attività malavitose successive hanno mediaticamente mandato in prescrizione la morte di Virgilio Motta.
Motta era un tifoso dell’Inter. Faceva parte di un “gruppo” a suo modo, pure lui. Si chiamava “Banda Bagaj” (banda bambini, in dialetto milanese), nato per portare anche i piccoli allo stadio. Motta di calcio ci è morto, indirettamente.
Il 15 febbraio 2009 Motta, padre di una bimba, è al Meazza per assistere al derby. Un gruppo di ultras milanisti cala dal secondo al primo anello per punire un gruppetto di interisti che hanno osato strappare uno striscione. Motta finisce per caso in mezzo alla rissa. Gli arriva un pugno che gli spappola un occhio. Il 17 luglio 2009 il giudice Alberto Nosenzo condanna a pene comprese tra sei mesi di reclusione e quattro anni e mezzo di carcere sei ultras milanisti accusati, a vario titolo, di rissa aggravata e lesioni. Luca Lucci, uno dei capi storici della curva Sud, viene condannato per aver sferrato il pugno. A Motta viene riconosciuta invece una provvisionale di 140 mila euro a carico dei condannati “da versare in solido”. La moglie di Lucci alla sentenza urla a Motta che “i 140 mila euro te li devi spendere tutti in medicinali, maledetto infame”.
Secondo tempo: il “solido” in Italia è un concetto liquido. I condannati non pagano perché risultano nullatenenti. Motta quei soldi non se li può spendere nemmeno in medicine, come pure avrebbe voluto fare. E’ costretto suo malgrado ad accettare una sorta di pagamento rateale, ma non ottiene nulla. Entra in depressione. Torna allo stadio, ma basta bambini. I bambini allo stadio mai più. Dura tre anni. Poi, il 24 maggio 2012, si impicca. Il suo legale, l’avvocato Consuelo Bosisio, dice che “le sue condizioni psicologiche sono peggiorate perché gli imputati condannati per quegli scontri non gli hanno versato i 140 mila euro che gli dovevano come risarcimento e con i quali lui voleva andare a farsi curare all’estero”. La famiglia invece dirà che non vi era alcun collegamento tra la sua malattia e i fatti processuali.
Sullo sfondo resta quel nome che adesso rimbalza sui giornali, di nuovo, con cadenza quasi fissa ogni 3 anni. Luca Lucci. Il 6 giugno 2018 finisce in manette in un’inchiesta della polizia su un traffico di droga con gli albanesi. Patteggerà una pena di un anno e mezzo. Un anno dopo gli sequestrano beni per un milione. Va in sorveglianza speciale per tre anni. A fine dicembre 2021 torna in carcere per droga: sceglie il rito abbreviato e viene condannato a 7 anni. Secondo le indagini Lucci risulta “il vertice dell’organizzazione”. Nella chat intercettate si fa chiamare “Belva Italia”. Siamo al 2024. Parliamo ancora di Lucci. Di Virgilio Motta non parla quasi più nessuno.
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