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ROMA – A Jenin e nei governatorati della Cisgiordania occupata, dove da tre giorni è in corso un’offensiva dell’esercito israeliano su vasta scala, “i civili non si sentono al sicuro a uscire di casa e, anche se necessario, non vanno in ospedale, e questo può avere delle conseguenze catastrofiche. Inoltre l’ospedale del governatorato è sotto assedio“. A lanciare l’allarme all’agenzia Dire è Gabriel Naumann, responsabile affari umanitari di Medici senza frontiere (Msf) per i Territori palestinesi.
Raggiunto telefonicamente a Jenin, epicentro dell’operazione “anti-terrorismo” dell’esercito di Tel Aviv, Naumann riferisce che ancora oggi proseguono attacchi e scontri: “A causa dei rischi abbiamo deciso di non mandare il nostro staff a Jenin e neanche negli altri centri medici che supportiamo. Come dal primo giorno sentiamo il fragore delle esplosioni o degli scambi a fuoco. Va a momenti: a volte torna la quiete. Ma dai nostri contatti interni alla struttura, sappiamo che l’ospedale del governatorato di Jenin (che noi di Msf supportiamo) è stato circondato dai militari israeliani, in palese disprezzo del diritto internazionale che impone di proteggere le strutture civili. Siamo di fronte all’incursione militare peggiore dopo quella del 2002, con uno stesso schema che si ripete: ospedali sotto assedio, ambulanze bloccate che non riescono a raggiungere i feriti e pesanti raid su aree residenziali tra cui i campi profughi”.
Il ministero della Salute dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) riferisce che dal lancio dell’offensiva, che sta interessando anche il governatorato di Tulkarem e di Tubas, 19 persone hanno perso la vita. Ancora il ministero sostiene che i corpi sono stati sequestrati dalle autorità militari di Tel Aviv.
Nelle strade l’insicurezza spinge le famiglie a rinunciare alle cure anche se “ci sono feriti o malati gravi”, continua il responsabile di Msf, “e questo è molto pericoloso”. D’altronde, continua Naumann, “l’esercito distrugge le strade con i bulldozer oppure crea blocchi con massi e cumuli di macerie”. Chi si avventura verso l’ospedale, transita “sentendo i caccia da combattimento sfrecciare in cielo. Per non parlare del rischio di essere arrestati arbitrariamente: abbiamo conferme di arresti di medici, infermieri, paramedici e volontari”.
Il responsabile per gli affari umanitari chiarisce: “Quello a cui assistiamo è più grave a livello di intensità, ma non è niente di nuovo. Questa situazione prosegue da decenni e nel 2023 è peggiorata: il numero di vittime ha superato quelle del 2002″, anno della cosiddetta “seconda Intifada”, ossia la sollevazione popolare per ottenere il riconoscimento dello Stato di Palestina. Ancora il ministero della Salute di Ramallah conferma che dal 7 ottobre – giorno di una aggressione di combattenti palestinesi legati ad Hamas nel sud di Israele – ad oggi 673 cittadini palestinesi hanno perso la vita in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Circa 5.400 persone sono rimaste ferite mentre gli arresti ammontano a 10.300.
Il responabile di Msf osserva: “Se guardiamo ai 40.500 morti di Gaza, le quasi 700 vittime della Cisgiordania sembrano poche. Ma ricordiamoci che ogni numero è una persona, e c’è una famiglia che la piange. Io sono qui dal 2022 e posso testimoniare che la situazione non fa che peggiorare. A luglio dell’anno scorso l’esercito israeliano ha lanciato gas lacrimogeni all’interno del pronto soccorso dell’ospedale di Jenin, io ero presente. Abbiamo dovuto spostare i pazienti in fretta e furia. I militari hanno anche sparato verso l’ospedale e un sedicenne è rimasto ucciso. La mancanza di rispetto è palese, qui come a Gaza, e questo compromette il lavoro umanitario. Il risultato è che le persone non si sentono al sicuro neanche negli ospedali”.
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