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L’Emilia-Romagna è la prima regione italiana per residenti stranieri

La vicepresidente della Regione Elly Schlein: "Il modello dell'accoglienza diffusa è riuscito qui da noi a sopravvivere e dare i frutti"

Pubblicato:30-06-2021 16:49
Ultimo aggiornamento:30-06-2021 16:49

elly schlein
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REGGIO EMILIA – L’accoglienza in Emilia-Romagna è di casa. Lo certificano i numeri del nuovo rapporto dell’Osservatorio regionale sul fenomeno migratorio realizzato lo scorso maggio dall’istituto di ricerca “Carlo Cattaneo” di Bologna con la collaborazione dell’associazione dei Comuni Italiani (Anci). Come da alcuni a questa parte, infatti, la regione si conferma la prima in Italia per incidenza di stranieri residenti, seguita dalla Lombardia. In dettaglio si tratta di quasi 563.000 cittadini risultati all’1 gennaio 2021, pari al 12,6% della popolazione (contro l’8,4 della media nazionale) e in leggero aumento rispetto al 2019, quando erano 551.000 e rappresentavano il 12,3% degli emiliano-romagnoli.

Il dato comprende sia i cittadini Ue che quelli provenienti dai “Paesi terzi”. Considerati solo i non comunitari, la loro incidenza si attesta intorno al 10%. Le province dove in rapporto al totale dei residenti gli stranieri sono più presenti sono quelle dell’Emilia: Piacenza (15,1%), Parma (14,7%), Modena (13,6%) e Reggio Emilia (12,6%). Ultima in classifica la provincia di Ferrara, che quest’anno ha toccato per la prima volta il 10% di cittadini non italiani.

Gli stranieri vivono e lavorano in genere nei Comuni capoluogo, ma non mancano le eccezioni: a Castel san Giovanni nel piacentino, o a Langhirano e Calestano in provincia di Parma, sono oltre il 20% degli abitanti. In generale nel 2020 oltre un Comune su quattro in regione ha il 13% di popolazione straniera.


Sono poi 170 le nazionalità presenti sul territorio regionale con in testa cittadini provenienti da Romania, Marocco e Albania (che insieme “valgono” il 50% degli immigrati), ma con presenze consistenti e in crescita di persone dall’Ucraina e dalla Cina. Gli stranieri, conferma ancora l’analisi della Regione, sono giovani (l’età media è sopra i 35 anni contro i 48 degli italiani) e donne (il 53%).

Indicativo a questo proposito lo spaccato relativo ai minori: quelli stranieri sono oltre 120.000 e costituiscono il 21,4% del totale degli stranieri residenti e il 17,2% del totale dei minori residenti in regione. Il 74% dei bambini stranieri (95.000) è nato e cresciuto in Italia. I nati da coppie non italiane nel 2019 in Emilia-Romagna sono stati nel 2019 7.735, pari al 25%, esattamente un quarto, del totale dei nati quell’anno in regione. Infine, per quanto riguarda le acquisizioni di cittadinanza, c’è stata una grande crescita dal 2013 (con un picco di 25.000) al 2019, mentre ora la curva si è stabilizzata.

Un’analisi specifica dei curatori del rapporto- Asher Colombo e Valerio Vanelli- ha poi posizionato l’Emilia-Romagna nel contesto delle dinamiche migratorie che, iniziate negli anni ’90, hanno subito un’impennata negli anni 2000 per vedere una prima battuta d’arresto con la crisi del 2008 e una seconda con la pandemia. Per la regione, viene spiegato, il ciclo migratorio espansivo è iniziato per la presenza di fattori di attrazione demografici ed economici in anticipo. E il calo iniziato alla fine del primo decennio del nuovo secolo è stato lievemente più contenuto.

Alla presentazione del rapporto è intervenuta la vicepresidente della Regione Elly Schlein annunciando tra l’altro che la Regione ha iniziato la programmazione delle risorse del “Fondo asilo migrazione e integrazione (Fami)” erogato dal ministero dell’Interno. Sottolineando poi: “Il modello dell’accoglienza diffusa, fortunatamente restaurato dalle modifiche dei decreti sicurezza intervenute l’anno scorso ma non ancora abbastanza praticato, è riuscito qui da noi a sopravvivere e dare i frutti“. Alla luce della nuovo naufragio avvenuto oggi a Lampedusa, Schlein evidenzia inoltre la necessità di “uscire dall’ottica emergenziale” creando una forza di soccorso umanitario di respiro europeo e di riformare le normative sull’asilo “per distribuire equamente le responsabilità dell’accoglienza”. Questo perché negli ultimi anni, conclude la vicepresidente, “6 Paesi su 28 hanno affrontato l’80% richieste d’asilo di tutta l’Unione Europea“.

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