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Perché i militari italiani sono in Kosovo, la storia della missione Nato Kfor

Dai bombardamenti su Belgrado del '99 alle elezioni boicottate dai serbi

Pubblicato:30-05-2023 13:57
Ultimo aggiornamento:30-05-2023 13:57

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ROMA – Garantire la pace in una regione contesa nel cuore dei Balcani e d’Europa, esposta oggi a nuove tensioni e contrapposizioni legate anche alla guerra in Ucraina: è questo il mandato del contingente italiano in Kosovo, coinvolto ieri in disordini e violenze che hanno causato feriti anche tra i suoi effettivi.

Gli uomini, per un massimo di 852 militari, con il supporto di 137 mezzi terrestri e un mezzo aereo, si legge sul sito del ministero della Difesa, appartengono alle tre forze armate e ai carabinieri. Sono inquadrati in una missione guidata dall’Alleanza atlantica, la Kosovo Force, nota con l’acronimo Kfor, di base a Pristina e dall’ottobre scorso al comando del generale di divisione Angelo Michele Ristuccia.

La premessa del dispiegamento dei militari furono i bombardamenti della Nato cominciati in diverse zone della ex Jugoslavia, anche alla periferia della capitale serba Belgrado, la sera del 24 marzo 1999. Per l’Italia ad autorizzare i raid fu l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema. La motivazione ufficiale fu bloccare episodi di violenza su base etnica ai danni delle comunità a maggioranza albanese del Kosovo da parte delle forze della Serbia del presidente Slobodan Milosevic.


LA STORIA DELLA KFOR

La Kfor cominciò a operare il 12 giugno 1999, mentre i separatisti dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) consolidavano le proprie posizioni per poi assumere il potere a Pristina. Si è arrivati così alla dichiarazione unilaterale di indipendenza, nel 2008, non riconosciuta né dalla Serbia, né dalla Russia, tradizionale alleata di Belgrado, né dalla Cina.

Al centro del mandato della missione Nato c’è ancora oggi la garanzia dell’ordine nelle zone più a rischio, in particolare quelle del nord, dove si sono verificati i disordini di ieri. Si tratta di aree a maggioranza serba e non albanese. I partiti locali hanno boicottato le elezioni amministrative che si sono tenute lo scorso 23 aprile: una scelta premessa dei disordini di ieri, quando la polizia kosovara ha cercato di permettere l’insediamento dei nuovi sindaci, eletti a dispetto di un’affluenza di poco superiore al 3 per cento e per questo osteggiati dai dimostranti serbi.

A confermare come le tensioni nell’area restino alte è stato anche un gesto del campione di tennis Novak Djokovic, che al termine di una partita del Roland Garros ha scritto con un pennarello su una telecamera: ‘Il Kosovo è il cuore della Serbia. Stop alla violenza!’. Secondo alcuni commentatori, nel suo messaggio ci sarebbero echi nazionalisti o addirittura un richiamo alla battaglia combattuta nella regione nel 1389, nel giorno di San Vito, quando il principe serbo Lazar Hrebeljanovic fermò l’avanzata delle truppe ottomane.

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