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Export in Africa: “Le proposte per la ripartenza post-Covid”

Al centro del seminario dell’Italian Africa Business Week (Iabw), la nuova area di libero scambio continentale ratificata da 53 Paesi su 54

Pubblicato:30-05-2020 10:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:24

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ROMA – Esportare in Africa all’insegna di un approccio nuovo, che miri a creare contesti di partnership ampi e centrati sullo sviluppo delle realtà locali. Realtà di un continente in grande sviluppo, rallentato ma non bloccato dalla pandemia di Covid-19, dove entro cinque anni ci sarà una classe media di almeno 400 milioni di persone e dove sta per entrare in vigore un’area di libero scambio commerciale che coinvolge 53 Paesi. È questo il modello emerso dal webinar ‘Rilanciare l’export e l’internazionalizzazione verso l’Africa dopo il Covid 19’ organizzato dall’Italian Africa Business Week (Iabw).

53 SU 54 HANNO FIRMATO PER IL LIBERO SCAMBIO CONTINENTALE

Precondizione per poter avviare una nuova fase di scambi che abbia l’Africa al centro, però, è “modificare al più presto la percezione che si ha del continente”, sottolinea il segretario esecutivo della Piattaforma del settore privato della Guinea, Madane Dia. Il dirigente parla di un continente dove sta assumendo un ruolo sempre maggiore l’Unione Africana (Ua), organizzazione che “a breve svilupperà una potenza tale da poter lavorare sulle piattaforme delle esportazioni in modo specifico in ogni Paese”.

A rendere ancora più competitivo il continente, secondo i relatori, sarà l’accordo di libero scambio commerciale, ratificato da 53 Paesi su 54. L’entrata in vigore del patto era prevista per luglio ma la crisi provocata dal Covid-19 ne ha posticipato l’avvio. Secondo Giampiero Succi, co-responsabile della sezione Africa dello studio legale Bonelli Erede, la nuova area di libero mercato abbatterà i dazi doganali favorendo la nascita “di un grande mercato interno, costituito da Paesi in concorrenza tra loro per diventare mete ideali per gli investimenti stranieri, oltre ad hub commerciali anche per i Paesi vicini”.


Attirare investimenti dunque, ma con una nuova consapevolezza, sottolinea Khalid Chaouki, ex deputato del Partito democratico, oggi amministratore delegato di Kc Consulting: “È necessario sviluppare un percorso che deve andare oltre l’export o gli investimenti basati sullo sfruttamento di manodopera a basso costo, volto a creare un contesto di partnership che dia possibilità di sviluppo locale”.

Le possibilità di instaurare relazioni commerciali proficue in Africa sono numerose anche secondo Federico Bega, dirigente di Promos Italia. Secondo Bega, nel continente coesistono quattro diversi stadi di sviluppo economico e commerciale, accomunati però da tendenze positive, come “la crescita della classe media e l’urbanizzazione”, secondo il dirigente “avere più grandi città significa avere più servizi, un maggiore mercato”.

Per Roland Ruhumuriza, responsabile per l’Africa per De Lorenzo, azienda specializzata nella creazione di strumenti per la didattica, il mercato africano “è più vasto e maturo”. Ruhumuriza sottolinea inoltre che in tutto il continente “il made in Italy è estremamente apprezzato, sia per i prezzi che per la qualità”. Per questa ragione le aziende italiane devono incrementare la loro presenza nel continente “e collaborare tra loro, fare rete”.

Ad aumentare la presenza in Africa c’è anche Sace, società specializzata nel garantire il credito alle imprese italiane. “Abbiamo una filiale a Il Cairo – dice la dirigente per il business internazionale Michal Ron – ma anche a Nairobi, Johannesburg e ne stiamo per aprire un’altra in Ghana”. Secondo Ron, Sace giocherà un ruolo fondamentale “nell’aiutare le aziende italiane nel continente durante la ripartenza post-pandemia”.

L’INTERVISTA A DIA (PIATTAFORMA GUINEA)

“La nostra Piattaforma è una porta di entrata per la Guinea, rivolta a chi vuole avere uno sfondo normativo chiaro e non ha intenzione di perdere tempo, energie e denaro con strane avventure italo-africane che già conosciamo bene”: a parlare è Madani Dia, guineano, che ha trascorso buona parte della sua giovinezza in Italia e da quattro anni è segretario esecutivo della Piattaforma di concertazione del settore privato nel Paese dell’Africa occidentale. L’agenzia Dire lo ha intervistato a margine del webinar ‘Rilanciare l’export e l’internazionalizzazione verso l’Africa dopo il Covid-19’ organizzato dall’Italian Africa Business Week (Iabw).

L’ITALIA INVESTA CON IDEE CHIARE

Dia dice che a oggi i rapporti commerciali tra l’Italia e la Guinea sono ancora in una fase iniziale. “C’è qualcuno che gestisce alcune attività – spiega – una piccola porzione di importazione italiana, ma a oggi non avrebbe neanche senso costituire un consiglio d’affari italo-guineano”. Il segretario spiega che per fare un passo in avanti sono necessari “volontà politiche” ma anche, se non soprattutto, le idee chiare. “È fondamentale capire che per investire in Guinea è necessario individuare un settore e obiettivi specifici di intervento” dice Dia. Convinto che non si può “pensare di andare in Africa per ‘diventare ricchi’, come dicono alcuni”, ma bisogna invece “sapere cosa si fa”. Secondo Dia, questo è necessario in tutti i Paesi, “vale lo stesso discorso per un imprenditore africano che vuole investire in Italia”.

La Guinea presenterebbe però un potenziale unico: “È uno dei tre Paesi africani che potrebbe vivere senza alcun contatto con l’esterno” dice il segretario. “È il primo produttore al mondo di bauxite, poi c’è l’oro, i diamanti, il petrolio. Insomma è una sorta di enorme supermercato per far funzionare qualsiasi industria”.

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