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I boss mafiosi gestivano i terreni dei Parchi, arresti tra Palermo e Enna

Operazione del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Caltanissetta, in collaborazione con il Servizio centrale investigazioni sulla criminalità organizzata

Pubblicato:30-05-2019 08:22
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:20

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PALERMO – Dodici misure cautelari sono state eseguite dai finanzieri del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Caltanissetta, in collaborazione con il Servizio centrale investigazioni sulla criminalità organizzata (Scico), nei confronti di altrettanti presunti appartenenti e fiancheggiatori di Cosa nostra.

I provvedimenti, richiesti dalla Direzione distrettuale antimafia nissena ed emessi dal gip, riguardano indagati delle province di Enna e Palermo avrebbero gestito terreni del parco delle Madonie e dei Nebrodi per conto della mafia, ricevendo anche finanziamenti comunitari per la gestione di imprese agricole riconducibili a componenti di Cosa nostra. Disposto anche il sequestro di immobili, aziende, beni e disponibilità finanziarie per un valore di circa sette milioni di euro.

Delle 12 misure cautelari eseguite, sei riguardano indagati finiti in carcere e cinque ai domiciliari mentre una riguarda un notaio ed è relativa all’interdizione dall’esercizio dell’attività professionale. ‘Terre emerse’, che prende le mosse da un’altra inchiesta sviluppata tra maggio 2017 e gennaio 2018, vede complessivamente 23 indagati e ha portato alla luce “un sistema illecito di gestione di terreni e contributi agricoli da parte della mafia delle Madonie e dei Nebrodi. Un sistema che secondo le fiamme gialle “veniva gestito con metodi mafiosi dalla famiglia dei Di Dio”, originari di Capizzi ma ormai stanziatisi in provincia di Enna. I componenti della famiglia Di Dio sono considerati “particolarmente attivi nel settore delle agromafie” e avrebbero “agevolato” Cosa nostra con il loro operato: da qui l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il modus operandi utilizzato rispondeva a un ben preciso canovaccio: gli indagati utilizzavano aziende agricole intestate a loro o a loro stretti congiunti per concludere contratti fittizi di compravendita o di locazione di terreni che in realtà erano “direttamente riconducibili a mafiosi”. I terreni e le aziende venivano inoltre utilizzati per presentare domande finalizzate all’ottenimento di contributi comunitari per l’agricoltura. Le indagini avrebbero accertato anche il ruolo svolto da un notaio catanese che si sarebbe prestato a stipulare atti falsi che diventati poi “presupposto” per la realizzazione di svariate truffe aggravate ai danni dell’Agea “consentendo alla famiglia Di Dio – sostiene la guardia di finanza – di accaparrarsi circa 600 ettari di terreno all’interno del Parco delle Madonie, di proprietà del demanio”.


Con questi sistemi gli indagati hanno intascato, dal 2014 al 2018, circa 430mila euro di contributi pubblici. In carcere sono finiti: Antonio Di Dio, 32 anni; Domenico Di Dio, 60 anni; Giovanni Giacomo Di Dio, 25 anni; Giacomo Di Dio, 35 anni; Giuseppe Fascetto Sivillo, 41 anni; Caterina Primo, 62 anni. Ai domiciliari: Salvatore Dongarrà, 57 anni; Carmela Salerno, 48 anni; Rodolfo Virga, 58 anni; Ettore Virga, 26 anni; Domenico Virga, 56 anni. Sequestrati, infine, 900 ettari di terreni, fabbricati, beni, 9 aziende agricole per un valore complessivo di circa 6,5 milioni di euro, oltre che disponibilità finanziarie degli indagati per un totale di circa 430mila euro.

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