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Test fai da te, webinar onlus Dossetti: tutela e sviluppo diritti riapre tema del tracciamento

Il dibattito con gli stakeholder per riportare al centro gli obiettivi perduti: testare. tracciare, trattare

Pubblicato:30-04-2021 20:00
Ultimo aggiornamento:04-05-2021 13:33
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MILANO EMERGENZA CORONAVIRUS
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di Chiara Organtini e Pietro Battaglia

ROMA – “Il testing è stato sempre al centro di tutta la pandemia, ma non siamo riusciti a renderlo protagonista”. É l’osservazione della studiosa Stefania Stefani, presidente della Società italiana di microbiologia e responsabile del Dipartimento di antibiotico-resistenza del Comitato Scientifico dell’associazione ‘Giuseppe Dossetti: I Valori’, ad aprire i lavori del webinar organizzato dalla stessa onlus e a fornire la chiave di volta per il dibattito che ne è scaturito. Perché, per parlare di ‘Self test rapidi fai da te? L’Italia e i colori della ripartenza per scuole, ristoranti, bar, palestre, cinema, stadi e turismo’, questo il titolo del webinar dell’Associazione ‘Giuseppe Dossetti: I Valori’, non si può eludere l’amara verità che abbiamo imparato in questi mesi di pandemia: la capacità diagnostica per intercettare il virus è stata spesso, ed è ancora in parte, monca o comunque non così potente, tanto da condizionare il tracciamento e di conseguenza il trattamento dei casi testati positivi. E non è una questione di meri numeri ma di sorveglianza epidemiologica, che in alcuni momenti della seconda ondata non è stata sufficiente, e che si è legata all’altro grande tema del tracciamento mancato, impedendo molte attività e costringendo il governo a misure di mitigazione dell’epidemia ma non di vero contenimento.

Oggi sul mercato sono arrivati i test nasali rapidi, che certamente non suppliscono ai molecolari o anche agli antigenici, ma che conducono ad una riflessione complessiva sia sull’uso che se ne può fare sia al loro ruolo all’interno di una strategia di sorveglianza e screening epidemiologico.


Il webinar dell’associazione ‘Giuseppe Dossetti: I Valori’, che ha coinvolto esperti microbiologi, virologi, ricercatori, politici e tutti gli stakeholder del mondo produttivo, come anche Assoturismo ed Anec, è stato il primo ad occuparsi del tema in Italia.

“Avere uno strumento diagnostico in più che ci consenta di intercettare e testare i cittadini è una soluzione da prendere in seria considerazione – chiarisce subito Silvio Gherardi, presidente del Comitato Scientifico dell’associazione ‘Giuseppe Dossetti: i Valori’, anche lui mette infatti carne al fuoco del dibattito, snocciolando prima qualche informazione sulle modalità di esecuzione del test fai da te.

“I self test rapidi nasali possono essere effettuati direttamente dal cittadino e non è richiesta una competenza elevata: si tratta, infatti, di test fai da te che hanno un funzionamento semplice. Al loro interno possiedono un tampone che va introdotto nel cavo nasale, nelle narici e, una volta estratta la sostanza mucosa, grazie a un reagente, si è in grado di conoscere la negatività o la positività al virus entro quindici minuti. Per l’utilizzo di questi test – avverte Gherardi, che è anche medico –  è necessaria, ad oggi la presenza di un operatore sanitario.

Secondo Gherardi “il test fai da te, con le dovute accortezze del caso, potrebbe essere uno strumento in più che si affiancherebbe ai vaccini e ai dispositivi di protezione individuale”.

Stefania Stefani fa eco al presidente del comitato ricordando da dove partiamo, ovvero con quali debolezze di sistema ci troviamo ad inserire, eventualmente, l’uso dei test fai da te. “Non si è mai valutato appieno la forza che arriva dalle nostre competenze di microbiologi. I laboratori sono ancora tutti in prima linea, quindi molto impegnati, ma i microbiologi sanno valutare se un test è sensibile a sufficienza per capire se può essere valutato in determinati contesti. Bene, quindi – chiosa Stefani – che in questo webinar ci siano sia i sanitari che i politici, i ‘decision-maker’ che potranno riflettere sull’uso e sulla strategia di questo nuovo strumento”. Ma come inserire il test in una strategia più ampia e da quali criteri partire?

GLI ESPERTI: “DARE PRIORITÀ ALL’EVIDENZA SCIENTIFICA”

“Il test fai da te impone un problema di natura etica. In una situazione in cui la crisi economica imperversa in Italia chi denuncerebbe la propria eventuale positività, rinunciando a lavorare? Qualora un cittadino non dovesse segnalare la positività salterebbe l’intero tracciamento. Come Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri siamo dunque contrari a un test che verrebbe eseguito privatamente senza l’ausilio di un operatore sanitario. È necessario, invece, che i risultati di test simili debbano essere trasmessi alle Asl competenti”. Questa la posizione di Salvatore Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo. “È necessario, dunque, che il mondo della sanità si interroghi su questo strumento diagnostico, prendendo una decisione univoca e chiara, confrontandosi con la politica”.

Anche per Stefania Stefani, che aggiunge altre considerazioni a quanto già detto in apertura dei lavori, “la discussione sui test fai da te deve essere eterogenea, coinvolgendo le aziende, la politica e il mondo scientifico in modo da definire linee guida chiare per i cittadini. Valutare, inoltre, la sensibilità di un test è cruciale anche in previsione della riapertura delle attività economiche. Per questo motivo ad emergere devono essere le competenze di natura microbiologica e clinica, decisive anche per la validazione scientifica degli strumenti diagnostici”.

AUTODENUNCIA DELLA POSITIVITÀ: SE MANCA VIENE MENO IL TRACCIAMENTO

Maurizio Sanguinetti, presidente Escmid, Società europea di microbiologia clinica e malattie infettive, nel suo intervento lancia una provocazione: “perché non utilizzare il ‘pooled test’ che consentirebbe di analizzare più test insieme grazie alla somministrazione di tamponi molecolari rapidi? Questa soluzione è stata adottata in occasione della Formula E che ha avuto luogo a Roma qualche settimana fa ed è stata vincente- spiega Sanguinetti-. Il ‘pooled test’ consente di esaminare in laboratorio più tamponi, testandoli come fossero un unico campione. Questa soluzione poteva essere utilizzata per le scuole per esempio ma non è mai stata percorsa, cioè si sarebbero potuti somministrare dei test molecolari salivari adottando questa tecnica che senza dubbio avrebbe snellito l’intero tracciamento”.

Sul problema dell’autodenuncia della positività e pertanto sul tracciamento, torna anche Pierangelo Clerici, Presidente AMCLI, Associazione Nazionale Microbiologi Clinici, che afferma: “Siamo in prima linea dal 21 febbraio 2020, anche se tutti si spacciano per virologi: una volta si parlava di 60 milioni di calciatori, oggi di 60 milioni di studiosi di virologia”, ironizza.

“I test rapidi sono stati validati, in molti paesi commercializzati, ma al di là delle giuste regole di denuncia di un caso positivo, i test fai da te hanno un vulnus che dobbiamo segnalare, ovvero l’autodenuncia: il limite al contagio è rispettato se il cittadino si segnala di essere positivo dopo un test di autodiagnosi, per questa ragione i self test sono sicuramente un ausilio ma ne va discusso l’utilizzo in comunità”.  

BASSETTI: “MICROBIOLOGI DEVONO GUIDARE LE DECISIONI SUL SELF TEST

Anche Matteo Bassetti, virologo e direttore della clinica di malattie infettive del San Martino di Genova ha partecipato al webinar dell’associazione ‘Giuseppe Dossetti: I Valori’, invitando i colleghi ad esprimersi sull’efficacia di questi test e anche a ricordare come questi strumenti devono essere in grado di intercettare le varianti: “Non sono un tifoso ma neanche un detrattore del self test, ascolto invece i colleghi microbiologi. Ritengo che i test rapidi siano complementari e non sostitutivi della PCR, in alcune situazioni il molecolare ha tempi e modalità di esecuzione difficilmente praticabili. Non sono certamente utilizzabili in ospedale, li utilizzerei però per le scuole, i viaggi ed alcune attività aggregative e ludiche; c’è da dire che lo stanno utilizzando in diversi Paesi. Il 5 maggio lo utilizzeranno a Liverpool per un concerto, sia all’ingresso che all’uscita dall’evento, nei giorni successivi”, ricorda Bassetti, che è anche Presidente SITA, Società Italiana di Terapia Antinfettiva Antibatterica, Antivirale, Antifungina. “Ci sono alcuni test che funzionano meglio di altri, intercettano anche le varianti, proprio per questa ragione ci vuole anche da parte del ministero una classificazione molto chiara a fronte di un mercato molto ampio e non completamente regolamentato, prosegue il professore-. Da clinico vedo che i test di ultima generazione possono essere una valida risposta, purché ci siano degli operatori sanitari per leggerne l’esito, meglio ancora per i test non in auto-somministrazione ma che sono maggiormente precisi”.

“Per avere una rete di screening ampia, possiamo pensare di usare i test rapidi, tuttavia il tema è sempre in ragione della sensibilità dello strumento. Sento querelle sui test antigenici tra i microbiologi, serve avere un’idea più precisa, evitando tifoserie e polemiche: occorre, da parte dei depositari del sapere, ovvero i microbiologi, una parola chiara sui test “, conclude Bassetti.

CAPOBIANCHI: “CONOSCERE LIMITI DI OGNI STRUMENTO PER USARLO AL MEGLIO”

“Nessun test è perfetto, bisogna conoscere i limiti di ogni strumento e tenerne conto nell’esito finale. L’intensità di testing, nell’epidemia da Ebola, è aumentata molto spesso nella fase finale; quindi non è inatteso che le fasi di testing aumentino verso la fine di un’epidemia, anche di questa epidemia”, spiega Maria Rosaria Capobianchi, Direttrice Laboratorio di Virologia presso l’Istituto Nazionale delle Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani. “Se non ci fossero stati i test rapidi, gli antigenici, sarebbe stato impossibile gestire i nuovi casi, nel pieno della pandemia”, chiarisce Capobianchi.

“Vediamo uno dei limiti del self test: se una persona sospetta di avere avuto un contatto sospetto, il test da fare è il molecolare. Diversamente, se l’accesso al setting di test è più complesso, va bene anche il test rapido; c’è da aggiungere però che una persona che tende a contagiare di più, molto spesso ha una carica virale alta; così come una persona con sintomatologia e test negativo, che sia molecolare o rapido è indifferente, quell’esito non va bene ma anzi va fatto nuovamente scegliendo un molecolare qualora sia stato fatto solo un antigenico”, spiega la ricercatrice.

“Un test peraltro condotto da personale non sanitario non va bene– aggiunge in merito ai self test, posso dire che abbiamo fatto un esperimento pilota con una scuola del Lazio con test antigenici da laboratorio ma con la saliva: già in giornata abbiamo individuato i positivi e siamo stati in grado di isolare i casi per il giorno successivo di scuola. Quindi non sono molto propensa ad utilizzare il self test, può indurre a sfuggire all’esito, nel caso di responso positivo, ma anche ad abbassare la soglia di percezione nel caso di esito negativo”, afferma Capobianchi.

“Le aziende che testano i propri dispositivi di testing, lo fanno sui malati che hanno cariche virali alte– avverte Capobianchi- noi abbiamo toccato con mano uno dei primi test che erano arrivati con una popolazione casuale, quando il virus potrebbe essere poco e meno infettate ma comunque con condizioni di salute non legate all’inizio sintomi. Ebbene la sensibilità in real life è stata dimezzata– racconta ancora Capobianchi-. Conoscere il contesto è importante, questo non vuol dire che i test non valgano, se vogliamo cogliere i già infettati va bene. Se invece vogliamo intercettare e contare i casi allora non vanno bene. È impensabile usare solo il molecolare, usiamo quindi i presidi che abbiamo, prestando attenzione alla differenza del setting e del criterio interpretativo con cui li stiamo utilizzando”, conclude Capobianchi.   

PARTECIPAZIONE COLLABORATIVA E FARE SISTEMA: LE ATTIVITÀ’ PRODUTTIVE

“La filiera del turismo– sostiene Vittorio Messina, presidente Assoturismo Confesercenti– è caratterizzata da diversi settori che prima della pandemia rappresentavano il 13% del Pil del Paese. Affrontare il tema della ripartenza è complicato soprattutto per un comparto che vive di programmazione. Vogliamo aprire nel rispetto dei protocolli sanitari ma è necessario che la politica ci dia la possibilità di organizzare delle riaperture a lungo termine. I test fai da te possono essere uno strumento in più per la ripartenza soprattutto in termini psicologici, diffondendo così un marketing positivo per i turisti che al momento di certo non vedono il nostro Paese come una meta in cui poter trascorrere le loro vacanze”, chiarisce Messina. “Urge, dunque, lavorare come sistema Paese anche in termini di valorizzazione delle strategie di marketing- invoca il presidente di Assoturismo-. Le isole greche ‘Covid free’ hanno contribuito per esempio a diffondere il messaggio per cui tutta la Grecia agli occhi dei turisti risulta essere libera dal virus, lo stesso discorso sta avvenendo in Spagna. Già per l’estate le nostre strutture sono pronte a somministrare i test rapidi sia ai clienti che agli operatori”. 

Anche per Mario Lorini presidente ANEC, Associazione Nazionale Esercenti Cinema, la questione della fiducia e della creazione di un clima di partecipazione collaborativa è fondamentale per ripartire, dando il giusto peso ai self test: “Lo abbiamo visto nei tre mesi di riaperture delle sale: ci sono stati pochi, pochissimi casi, che abbiamo verificato perché conserviamo per due settimane i nomi di coloro che sono stati in sala. Confrontandoci con colleghi di altri Paesi, pensavamo che ci sarebbe stata una certa diffidenza a tornare in sala ma stiamo notando che non è così: se riusciremo a mettere in campo un sistema che funziona, sia con il green pass o con i test fai da te, ripartiremo ancora meglio– spiega Morini-. In questo anno, per i pochi mesi di apertura, abbiamo seguito protocolli molto rigidi. Rispetto all’esperimento condotto in Spagna con 5000 persone, dove il test era obbligatorio. Le persone che tornano in sala hanno una predisposizione positiva all’aggregazione e di profondo rispetto, tanto che nella ripartenza disposta dal 26 aprile, non sarà possibile consumare cibo e ci sarà una capienza ridotta al 50%. I nostri protocolli e le nostre proposte non sono mai state considerate ma lo dico senza polemica perché nessun settore ha visto accolte le proprie indicazioni, era giusto così, serve partecipazione collaborativa”. 

Marco Cossolo, presidente Federfarma, ricorda anche i termini della questione, tra test rapidi e self test, su cui la federazione che guida attende risposte dal ministero della Salute. “Gli antigenici oggi in commercio possono essere eseguiti esclusivamente da personale sanitario, tanto che c’è una sospensiva del Consiglio di Stato, pertanto dire che in Italia si possa vendere al grande pubblico un test di auto diagnosi non è vero. Aggiungo anche che un tampone nel naso in auto somministrazione è abbastanza complesso da fare, serve entrare almeno 5 centimetri nel naso e questo significa farsi una violenza, in pochi quelli che ce la fanno”, spiega Cossolo.

“I test che arriveranno a maggio in farmacia, i self test, non li conosciamo ancora, lo abbiamo appreso dai giornali. Tanto che abbiamo chiesto al ministero della Salute come comportarci ma non ci hanno ancora risposto. In autogrill già si vendono i sierologici fai da te, ma nonostante ciò le persone sono disposte a spendere qualche euro in più pur di avere un esito certo facendolo in un laboratorio di analisi. E veniamo alla questione tracciamento: la responsabilità di auto denuncia del cittadino è solo in capo a lui con il self test, è chiaro che ha bisogno di un sistema per funzionare con il tracing. Infine il green pass: se devo fare un tampone per ottenere il lasciapassare, è chiaro che non farò il self test – chiosa Cossolo.

LA SCIENZA INCONTRA LA PARTE PRODUTTIVA 

A fornire qualche idea su come affrontare il problema dell’autodenuncia della positività e quindi del tracciamento, contribuisce Mario Da Ronco, Country head of Sales and Diagnostics per Sieemens Healthineers: “l’informazione derivante dal test rapido deve essere trasportata ovunque, dal portale regionale al laboratorio, proprio per far funzionare anche questo green pass. La messa a sistema di tutte le informazioni, indirizzandole verso ambiti precisi, è la sfida che dobbiamo soddisfare. Ma l’applicazione di questi test prevede la conoscenza dei setting e dei valori predittivi dello strumento: senza conoscere gli elementi predittivi negativi e positivi, ovvero i limiti dello strumento di cui parlava anche Capobianchi– spiega Da Ronco– non possiamo usarli. Come azienda stiamo sperimentando i test con prelievo fai da te da parte dei nostri dipendenti e valuteremo come inserire questo strumento in un approccio di sistema”.

“Al momento- spiega Guido Bartalena, Director of Healthcare & Market Development at Roche Diagnostics Italia- ci troviamo in una situazione sanitaria in cui abbiamo a disposizione una vasta gamma di soluzioni diagnostiche. Il self test rientra in questo quadro ma va considerato come uno strumento in più rispetto a quelli già esistenti e presenti in commercio nel nostro Paese. Si tratta di uno strumento diagnostico rapido, semplice e a basso prezzo. Il problema principale consiste nel definire il self test all’interno di un panorama differenziato, va cioè utilizzato in base alle peculiarità  dei singoli settori economici e più essere uno strumento in più anche in vista delle riaperture graduali delle attività. Ogni comparto ha, infatti, esigenze diverse e per questo è necessario differenziare le soluzioni diagnostiche, usandole in maniera strategica”.  “Bisogna- aggiunge- approfondire il tema dell’autosomministrazione, aspetto che potrebbe scontrarsi con il senso etico di ciascuno di noi. Qualora un cittadino non dovesse segnalare la propria positività potrebbe andare in tilt l’intero sistema di tracciamento. Per questo motivo è utile che ci sia una leale collaborazione e una comune coscienza etica”. “Questo strumento potrebbe, a mio avviso, essere utilizzato nelle scuole in quanto consentirebbe di testare più facilmente tutti quei soggetti che tendono a trasmettere con più frequenza il contagio”, conclude.

“Il self test può aiutare a comprendere il proprio stato di salute e quindi il ricorso al medico curante, può pertanto diventare un dispositivo di protezione individuale senza sostituirsi ai test da gold standard, la PCR – chiarisce Maria Laura Cantarelli, Government affairs director di Abbott.

La sensibilità del self test si attesta intorno al 96-98%. Ci sono stati governi che hanno aperto il mercato a questi prodotti, ritenendoli complementari e non in alternativa al tampone molecolare. Bene, quindi, che possano arrivare nelle scuole e in alcune attività ma dovranno essere individuate dal ministero della Salute”, conclude Cantarelli.  

LA POLITICA: “NECESSARIO UN COORDINAMENTO UNICO PER TUTTE LE REGIONI

“Occorre che ci sia un coordinamento centrale che sia in grado di trasmettere alle regioni linee guida e protocolli univoci in modo che tutti agiscano tenendo conto di regole omogenee. Un intervento necessario anche in termini di utilizzo dei test fai da te. Questi ultimi hanno senso soltanto se inseriti all’interno di un contesto più generale, cioè devono essere utilizzati in base alle particolarità dei singoli settori economici e devono emergere in quanto strumenti diagnostici aggiuntivi che non sostituiscono quelli già esistenti”. È di questo avviso l’On. Angela Ianaro, membro della Commissione Affari sociali.

“Nell’ambito della diagnostica- sottolinea- sono stati compiuti degli enormi passi in avanti. Adesso è necessario che tutto questo venga capitalizzato. Nei prossimi giorni, inoltre, discuterò alla Camera dei deputati una interpellanza urgente che ha lo scopo di voler far emergere la necessità di implementare il sequenziamento dei test diagnostici. Questa sarà la sfida del prossimo futuro. Il Parlamento è chiamato a sollecitare il Governo affinché si renda concreto tutto ciò che la scienza è riuscita a fare in soli quattordici mesi”.

L’importanza della diagnostica e del tracciamento è stata, inoltre, ribadita da Sandra Savaglio, Assessore all’Istruzione e alla Ricerca scientifica della Regione Calabria. “Il tracciamento continua a essere la chiave per arginare il virus in maniera efficace. Tracciare è complicato anche perché va a scontrarsi con la privacy dei singoli cittadini. Un esempio positivo di tracciamento proviene dall’’Università della Calabria’ che ha adottato in seguito alla seconda ondata del Covid-19 un sistema efficace che si impone di tracciare il personale universitario e gli studenti attraverso un Qr code scaricabile tramite smartphone. Questa può essere una soluzione per incrementare la pratica del tracciamento. Per quanto concerne, invece, il test fai da te ritengo che, nonostante l’imprecisione e la scarsa sensibilità diagnostica, possa avere diversi benefici, uno su tutti la possibilità di somministrarlo al cittadino più volte nella stessa settimana, coinvolgendo così una platea vastissima. I risultati, dunque, potrebbero essere in alcuni casi imprecisi ma grazie a questo strumento diagnostico si isolerebbero più facilmente i casi. Chiaramente non lo utilizzerei per le persone fragili”, conclude.

TEST FAI DA TE SENSATI SE INSERITI IN UN CONTESTO PIÚ AMPIO

“L’affidabilità dei test rapidi e in auto somministrazione-, argomenta la Sen. Elisa Pirro, membro della Commissione permanente Igiene e Sanità del Senato- è migliorata negli ultimi tempi ma di fatto non esistono a oggi standard sufficientemente elevati che ci consentano di paragonarli in termini di efficacia ai test molecolari. C’è, inoltre, il tema della responsabilità etica: chi dovesse risultare positivo al test fai da te deve denunciarlo altrimenti rischia di interrompersi il sistema di tracciamento. Ritengo, tuttavia, che debba essere prevista una figura competente in grado di valutare il risultato, se non persino l’utilizzo”.

Anche per Roberto Lagalla, medico e Assessore all’Istruzione e alla Formazione professionale della Regione Sicilia, “bisogna puntare sulla validità scientifica del test fai da te”. In Sicilia siamo riusciti a tenere aperte le scuole fino alle vacanze pasquali grazie a uno screening sanitario estensivo, censendo con test molecolare oltre 280mila soggetti. Tuttavia, non escludo l’uso del test fai da te. Bisogna però evitare che ognuno diventi medico di sé stesso”.

“In questa fase- specifica l’On. Gennaro Migliore, componente della Commissione Affari Esteri e comunitari della Camera dei deputati- dobbiamo lavorare sul tema dei test in auto somministrazione, altrimenti rischiamo di rimanere indietro anche su questo. Il test fai da te è utile solo se inserito all’interno di un contesto più generale in grado di coinvolgere l’intera collettività. La politica dovrà assumersi le sue responsabilità, valutando insieme alla scienza le ripercussioni che potrebbero derivare da questo nuovo strumento diagnostico”.

Con i self test l’Italia è indietro rispetto agli altri Paesi europei. Se il Paese vuole uscire da questa crisi è necessario prevedere una strategia sui test in auto somministrazione che devono essere inseriti all’interno di un sistema globale e strutturato, definendo un piano di medio periodo”. A dirlo è l’On. Roberto Bagnasco, membro della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati.

“Quasi tutte le regioni- sottolinea l’On. Marcello Gemmato, segretario della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati- hanno difficoltà a trattare a oggi le patologie non-Covid a causa del sovraffollamento presente nelle strutture ospedaliere. Per decongestionare gli ospedali, dunque, è fondamentale identificare il virus attraverso l’attività di screening. Non dobbiamo più rincorrere il virus ma anticiparlo”.

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