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Ventotto anni fa l’umiliazione delle monete lanciate a Craxi, comincia il populismo

Fascisti, leghisti e comunisti di allora tutti nella stessa piazza a protestare

Pubblicato:30-04-2021 16:26
Ultimo aggiornamento:30-04-2021 18:00

bettino craxi_imagoeconomica
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ROMA – Chi scrive, nell’aprile del 1993, era un giovane cronista da 5 anni iscritto alla stampa parlamentare. Il biennio 1992-1993 lo ricordo terribile: le stragi di mafia, con i giudici Falcone e Borsellino fatti saltare in aria con gli agenti della scorta, e pure bombe con morti tra i civili; l’inchiesta ‘mani pulite’ partita da Milano che scoperchiò ‘Tangentopoli‘ portando in tribunale quasi tutti i principali esponenti politici di quel periodo; la crisi economica e soprattutto finanziaria con il governo costretto a prelevare di notte dai conti correnti degli italiani una quota a seconda del deposito. Per la prima volta il capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, aveva chiamato un non parlamentare, Carlo Azeglio Ciampi, per la formazione di un governo tecnico per fronteggiare l’emergenza. Momenti drammatici, ogni giorno noi cronisti scrivevamo articoli pieni di indagati, di arrestati, di ‘mazzette’ e finanziamenti che gli imprenditori italiani pagavano a questo o quel politico per vedersi aggiudicare i lavori. Quel sistema, comunque illegale, in gran parte serviva a finanziare i costi della politica, e quel sistema politico finì ucciso dalle mazzette. Arriviamo al giorno del giudizio, il 29 aprile del 1993, quando l’aula della Camera dei deputati si riunisce per votare le autorizzazioni a procedere chieste dai magistrati contro Bettino Craxi, segretario del Partito socialista già presidente del Consiglio, pezzo da novanta della politica italiana di quel tempo. A molti cronisti Craxi non stava simpatico, per i modi spicci e sprezzanti che usava nei confronti di chi lo avvicinava magari solo per chiedere un commento politico. Ti guardava dall’alto in basso, con una smorfia di disgusto, si girava dall’altra parte senza degnarti di una parola.

Quel 29 aprile l’aula di Montecitorio era piena come non mai, noi cronisti stretti e ammassati nella tribuna stampa che stava sopra all’emiciclo. Craxi aveva deciso di difendersi in aula, e quel discorso, anche se il personaggio mi stava antipatico, lo ricordo come un atto di coraggio e di orgoglio anche se ferito che non ho mai più rivisto. Alla presidenza siede Giorgio Napolitano, recita il resoconto parlamentare, quel Napolitano che da dirigente del Partito comunista da sempre era considerato filo-socialista. Prendono la parole Gerardo Bianco, capogruppo della Democrazia cristiana; Raffaele Valensise del Movimento sociale destra nazionale, il radicale Marco Pannella, pure Vittorio Sgarbi che interviene per dire “mi aspettavo un avviso di garanzia per aver incontrato l’on. Craxi in qualche occasione, come una prima della Scala…”. Poi tocca proprio a Craxi, leggiamo il resoconto: “Non minimizzo la situazione che stava venendo alla luce in ordine al finanziamento irregolare dei partiti politici… Molte cose sono venute alla luce – disse- molte ancora ne verranno e niente è stato fatto per porre rimedio a questa situazione. Si è invece dato spazio a una politica di delegittimazione dei partiti e dell’attività politica. Era evidente che risalendo nel tempo, lungo le forme del finanziamento dei partiti sarebbe emerso uno scandalo al giorno, così è stato e così sarà… Si può davvere sostenere che si è stati testimoni e complici di un dominio criminale? Gli anni Ottanta sono davvero stati gli anni della regressione e dalla repressione? È questa una lettura falsa e rovesciata della realtà e della storia”…. “Le irregolarità nel finanziamento pubblico, nonché le distorsioni nella gestione della cosa pubblica, non nascono negli anni Ottanta, hanno origini più antiche… È un sistema a cui hanno contribuito i principali gruppi economici e imprenditoriali italiani: essi non sono stati certo vittime di una prepotenza alla quale non potevano sottrarsi. Si tratta di illegalità attuate con piena consapevolezza e responsabilità, nonché con molteplici finalità: economiche, imprenditoriali e politiche”. Poi con il dito indicò tutte le parti politiche, sottolineando che tutti i partiti avevano preso soldi in modo illegale sfidando ad alzarsi e a dire il contrario, con il rischio che di lì a poco sarebbe stato accusato di spergiuro. Un discorso duro, accolto in silenzio, anche tra noi cronisti ci scambiavamo commenti tipo “ammazza oh, hai sentito, e tutti zitti eh?”.

Alla fine delle 6 richieste di autorizzazione ben 4 furono respinte. Chi pensava, Craxi per primo, che la cosa finiva lì con quel voto non aveva fatto i conti con la piazza.


Il giorno dopo, il 30 aprile 1993, tutti i giornali riportarono la notizia con titoli grandi e pieni di indignazione. I partiti dell’opposizione organizzarono manifestazioni di protesta. Verso le 20 nella piazzetta antistante l’Hotel Raphael di Roma, dove Craxi risiedeva, si radunarono centinaia e centinaia di persone che cominciarono ad insultare. C’erano quelli del Movimento sociale italiano, quelli del Pds che arrivarono lì alla fine del comizio di Achille Occhetto nella vicina piazza Navona, studenti di un’altra manifestazione ed anche della Lega Nord di Umberto Bossi (anche se altre cronache raccontano che furono bloccati prima). Dentro l’Hotel gran fermento, Craxi doveva uscire per raggiungere uno studio televisivo e chi era con lui cercava di convincerlo ad uscire dal retro. Craxi nemmeno li prese in considerazione, chiese soltanto se l’auto era pronta. Uscì e in quel momento fu sommerso dal lancio di monetine, sassi, bottiglie e urla. Gente sventolava banconate e cantava “Vuoi pure queste, Bettino vuoi pure questeee”. Craxi politico finì quel giorno, e in quel momento, col senno di poi, possiamo vedere la nascita del populismo che invocando “la forca per la casta” fece gran fortuna fino ai giorni nostri. Nel 1994 Silvio Berlusconi si inventò Forza Italia, scese in politica, vinse le elezioni e conquistò il Governo del Paese. Craxi non fu ricandidato, e poco prima di perdere l’immunità parlamentare con il rischio di poter essere arrestato, fuggì ad Hammamet in Tunisia, dove rimase fino alla morte, il 19 gennaio del 2000.

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