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Made in italy, l’Africa ci guarda e fa crescere il suo brand

Il Made in Italy è il filo conduttore di una conferenza online organizzata dalla Luiss Guido Carli e dall’associazione Le Reseau per la terza edizione del Programma diaspore

Pubblicato:30-03-2023 19:49
Ultimo aggiornamento:30-03-2023 19:49
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luiss diaspore
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ROMA – Le biciclette italiane con cui la nazionale ruandese di ciclismo correrà i mondiali casalinghi del 2025 e gli spaghetti sulle tavole africane le domeniche di festa. Ma anche la qualità speciale di pollo che viene cotto alla griglia in Burkina Faso e il cappello artigianale di Saponè realizzato dai maestri burkinabè, entrambi marchi registrati. Brand noti in tutto il mondo, a volte anche poco accessibili nei Paesi emergenti per ragioni economiche, e brand con grandi potenzialità di crescita. Prodotti, in definitiva, espressione di un’idea di “made in” che è un precipitato di culture e tradizioni e uno strumento di proiezione esterna delle regioni di provenienza.

La riflessione su questo concetto e sulle sue prospettive di evoluzione è il filo conduttore di una conferenza online organizzata dalla Luiss Guido Carli e dall’associazione Le Reseau nell’ambito della terza edizione del Programma diaspore. Ad aprire i lavori, sul tema ‘Coolness, Branding, Sustainability: Made in Italy and Evolving Customers’, è Marco Francesco Mazzù, professore di digital e marketing e responsabile dell’orientamento internazionale presso la Luiss. Il docente presenta parte di una ricerca sull’”effetto made in” condotta dall’X-Ite resarch centre su behavior e tecnologie di Luiss. Una piattaforma questa, spiega il professore, “il cui potenziale risiede non solo nei contenuti delle ricerche ma anche nella sua stessa architettura, che si articola tramite la collaborazioni fra diversi esperti, accomunati dagli stessi rigorosi obiettivi, e che trasforma le differenze in elementi di progresso e sviluppo”. Mazzù parte dalle definizioni, su tutte quella di “made in Italy”: “E’ molto di più- spiega- di quello che leggiamo su confezioni ed etichette; riflette il nostro Paese nella sua complessità ed è costituito da una serie di elementi associati al nostro Paese nell’immaginario collettivo che producono nel consumatore stereotipi positivi e negativi e che vengono consacrati e reiterati dai media”.

Alba D’Aniello, dottoranda in Management in Luiss e parte della squadra dell’X-ite Centre, entra più nel merito della ricerca. “Abbiamo chiesto a undici esperti africani di riferire delle loro percezioni e delle loro associazioni mentali in merito al Made in Italy- espone d’Aniello – ne sono emerse 43 opinioni che poi verranno ulteriormente ridiscusse nella seconda parte dell’indagine. Dall’81 per cento dei commenti viene fuori una percezione molto positiva dei brand italiani, mentre alcuni degli elementi chiave comuni che abbiamo individuato sono autenticità, passione, status e qualità. Diversi relatori però- aggiunge la ricercatrice- hanno evidenziato la ridotta accessibilità economica di questi prodotti in Africa e poi la difficoltà a compararli con una tradizione ‘made in’ locale”.


Le caratteristiche che definiscono i prodotti realizzati nel nostro Paese tornano nelle parole di Dalira Uwonkunda, fondatrice di origine ruandese della società di consulenza Africa Synergy, residente in Italia da 16 anni, che del dialogo fra Roma e Kigali attorno al concetto di ‘made in Italy’ ha fatto l’anima del suo lavoro. “Stiamo per inaugurare la nostra Africa Synergy Boutique- annuncia- che abbiamo fatto nascere con l’obiettivo di far conoscere in Ruanda quanto di bello viene fatto in Italia a partire dalle ‘tre effe’: fashion, food e furniture, moda, cibo e mobili artigianali”.

Un legame, quello fra Italia e Ruanda, che cresce e “corre” anche sulle ruote della nazionale di ciclismo locale, padrona di casa alla prossima rassegna mondiale del 2025. “A partire da un’idea di un imprenditore italiano- spiega Uwonkunda- biciclette dalle componenti ‘made in Italy’, come quelle impiegate dai nostri campioni del ciclismo, verranno assemblate in Ruanda”.

Il concetto di brand è quindi in evoluzione. Lo dimostra anche la storia del Burkina Faso, come spiega Thierry Somda, docente della Eeni Global Business School di base in Spagna e consulente originario del Burkina Faso. “Abbiamo vissuto tanto i prodotti italiani nel nostro Paese, hanno contribuito a creare un’identità italiana per noi, dalle Vespa che usavamo per girare per Ouagadougou agli spaghetti che ci attendevano in tavola dopo la messa della domenica”, ricorda il consulente, che poi evidenzia come una cultura del brand si sia radicata e stia crescendo sempre di più anche nel Paese del Sahel. “Da diversi anni abbiamo sviluppato delle politiche di tutela e valorizzazione dei prodotti locali- dettaglia- e abbiamo già diversi marchi registrati di valore, dal cappello artigianale di Saponè al pollo ‘Poulet-bicyclette'”. A fare poi da moltiplicatore di possibilità, salda i due discorsi Somda, “la ricchezza e la competenza della diaspora in Italia, che può far crescere l’interesse del vostro Paese verso quello che si produce in Burkina Faso”.

Orizzonti di crescita che si ampliano a partire da un lavoro sugli immaginari e quindi sulla formazione, come evidenzia Abraham Makano, esperto di ambiente e ‘Nrm sector’ originario dello Zambia. “Ci sono diversi stereotipi che riducono l’Africa a guerre e dittature- afferma il relatore- questi si possono cambiare anche insegnando la storia del continente, trascurata nei programmi scolastici in Europa. Serve poi anche maggiore coordinamento, anche a livello di Unione Africana si potrebbe ragionare su strategie comuni per promuovere i brand dei vari Paesi africani”.

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