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Angola, carcasse arrugginite e un voto per la pace

L’Angola è in campagna elettorale: sabato si conclude la registrazione degli aventi diritto al voto, in programma ad agosto

Pubblicato:30-03-2017 11:05
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:04

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XANGONGO (Angola) – Carri armati giallo-sabbia e ruggine arrostiscono sotto il sole come scarafaggi. “Ammazzavano gli angolani” urla in portoghese una donna sulla sessantina, che tiene una fascina di legno in equilibrio sulla testa. Pochi passi e le presentazioni. Si chiama Maria Isabel e arriva dalla pista asfaltata che da Ondjiva punta su Lubango, ai piedi dell’altopiano. Gli scafi corazzati, modello Panhard, si mimetizzano tra i baobab e la sterpaglia del “mato”, la savana del sud dell’Angola: sono ciò che resta dell’operazione Orange, scattata il 19 ottobre 1975. Dal confine della Namibia colonne sudafricane puntarono verso nord su Pereira de Eca, il nome coloniale di quella che oggi è Ondjiva, il capoluogo della regione del Cunene. Il piano prevedeva l’arrivo a Luanda in due settimane, in tempo per la proclamazione d’indipendenza dal Portogallo prevista l’11 novembre. L’obiettivo era installare un governo di coalizione che tagliasse fuori l’Mpla, il Movimento popular para a libertacao de Angola (Mpla) accusato di legami con l’Unione Sovietica. “Giorni terribili, come nel 1981, quando dovemmo scappare a Huila” ricorda Maria Isabel, che intanto si è seduta. La guerra civile sarebbe durata 27 anni, con una coda velenosa ben oltre la fine della Guerra fredda e dell’apartheid in Sudafrica. L’Uniao nacional para a indipendencia total de Angola (Unita), inizialmente sostenuta dal regime segregazionista di Pretoria, oggi è solo un partito politico. Lungo la strada per Lubango ci sono anche le sue bandiere, rosse e verdi con il gallo e il sole che sorge. L’Angola è in campagna elettorale: sabato si conclude la registrazione degli aventi diritto al voto, in programma ad agosto.

Il Presidente in carica da 37 anni, José Eduardo dos Santos, ha annunciato che non si ricandiderà. A prendere il timone dell’Mpla, al governo a Luanda dal 1975 anche grazie ai consiglieri sovietici e cubani, sarà l’attuale ministro della Difesa Joao Lourenco. Il suo volto, sorridente e fiducioso, guarda dai manifesti incollati alle pareti di case e baracche. Come a Xangongo, dove adesso c’è anche un comizio elettorale. Le donne cantano, sventolando i vessilli della lega femminile dell’Mpla. Dappertutto le bandiere del partito, rosse e nere con la stella gialla. Alle ultime elezioni, nel 2012, l’Mpla ha conquistato più del 70 per cento dei seggi in parlamento. Anche ad agosto potrebbe andare così. Troppo deboli l’Unita e il nuovo partito di opposizione, Casa-Ce, che fatica a conquistare sostenitori fuori dalle città. E troppo forte l’attaccamento alla pace, bene irrinunciabile per 25 milioni di angolani. “Anche se i candidati dell’Mpla non mi piacessero li voterei lo stesso perché non voglio più la guerra” dice Germana, 30 anni, venditrice al mercato di Xangongo. Se cerchi qualche spiegazione in più, sappi esser paziente: non si parla volentieri di un fratello o un padre ucciso, di case bruciate e fughe nel “mato”, giorni a mangiare erba per non essere scoperti. Difficile allora che attecchiscano le parole d’ordine dell’Unita, che accusa l’Mpla di corruzione e già denuncia brogli. Meglio provare a credere alle promesse di Lourenco: nei comizi dice che la diffusione della “povertà estrema” è conseguenza della guerra e che con il suo governo la classe media arriverà a costituire il 60 per cento della popolazione. La chiave sarebbero gli investimenti privati, da incentivare attirando capitali dall’estero, non solo da Cina, Brasile, Europa e Nord America ma anche da altri Paesi africani. Promesse che non sembrano influenzare il voto più di tanto, fa capire Vicente Farrusco, un funzionario comunale: “Ogni partito dovrebbe avere un programma, ma l’Unita sa solo criticare”.

dal nostro inviato in Angola, Vincenzo Giardina, giornalista professionista


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