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Giornata mondiale malati di lebbra: cause, diffusione e cure

L'intervista al presidente nazionale dell'Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo), Antonio Lissoni

Pubblicato:30-01-2022 12:38
Ultimo aggiornamento:30-01-2022 12:39

dottore_medico
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ROMA – “In Italia non c’è alcun ‘pericolo lebbra’, non esiste ormai da centinaia di anni in senso autoctono, ci sono solo casi episodici importati”. Lo sottolinea alla Dire il presidente nazionale dell’Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo), Antonio Lissoni, in occasione della 69esima Giornata mondiale dei malati di lebbra, che quest’anno si celebra oggi, domenica 30 gennaio.

Lissoni precisa che “in Italia e in Europa i casi sono pochissimi, nell’ordine delle unità o di qualche decina. Sono casi isolati spesso in arrivo, nel senso che si tratta di italiani che si sono contagiati all’estero o di stranieri giunti nel nostro Paese. Ma, ripeto, siamo in presenza di numeri davvero modesti, tanto che in tutto il Vecchio continente si parla di 27 casi di lebbra”.

Praticamente scomparsa in Europa, “i due Paesi in cui la lebbra è maggiormente presente- prosegue- sono soprattutto l’India, dove si registra la metà dei nuovi casi, e il Brasile. La troviamo, inoltre, in parte dell’Asia e in Africa”.


La lebbra è una malattia che esiste da sempre, se ne fa cenno nel Vangelo e ne parla anche San Francesco. Causata da un batterio, il ‘Mycobacterium leprae’, è una malattia che aggredisce i nervi periferici dell’organismo, togliendo sensibilità alle estremità. Ci sono, dunque, forti lesioni dovute a ferite accidentali o ustioni che non vengono curate e che provocano gravi disabilità, in alcuni casi anche la cecità.

La lebbra ha una trasmissibilità abbastanza bassa ma è molto legata alla mancanza d’acqua, alle condizioni di vita, alle condizioni igieniche e a quelle precarie dell’alimentazione. Sul fronte della cura il presidente Aifo spiega che “la lebbra esiste in più forme e si può curare grazie all’uso di alcuni antibiotici che uccidono il batterio. E quando si cominciano ad assumere antibiotici non si è più contagiosi”.

In Italia il centro di riferimento per la cura della lebbra è l’ospedale San Martino di Genova. Fondamentale, secondo Lissoni, è la prevenzione, “perché- continua ancora alla Dire- i danni causati durante il percorso della malattia spesso si protraggono anche successivamente. C’è poi un altro aspetto fondamentale. Noi non consideriamo guarito un ex malato di lebbra quando questi ha assunto la medicina e non ha più in corpo il batterio che lo erode, perché la persona sarà comunque sempre stigmatizzata, allontanata ed esclusa. Noi riteniamo guarito il malato di lebbra quando si inserisce nel programma di riabilitazione, in un programma di presa di consapevolezza di tutta la comunità. Quando si dà a questa persona una capacità di autonomia anche economica, in modo che, allontanata dalla famiglia e dalla comunità perché lebbrosa, perché macchiata e stigmatizzata, poi rientra nella famiglia e nella comunità come risorsa, anzi come agente del cambiamento”.

Il presidente Lissoni informa inoltre che “questo è il ruolo che svolgiamo in Nazioni come il Mozambico e la Guinea, stati in cui siamo coinvolti nel programma nazionale da parte dei ministeri della Salute locali sulla lebbra, potendo fare prevenzione e formazione del loro personale. Però, a livello mondiale, la lebbra ormai è gestita dai singoli Paesi e da una sanità di base che, in queste aree, non sempre si dimostra all’altezza della possibilità di capire o di intervenire in maniera precoce”.

Il numero uno Aifo afferma che “se il dermatologo scoprisse subito che quella piccola macchia sulla pelle è lebbra, potrebbe curarla immediatamente” e dichiara che “la prima manifestazione della lebbra è proprio quella relativa alla comparsa di macchie, ad esempio sulle braccia, simili a quelle di una scottatura, quando rimane una macchiolina più chiara. In questo caso bisogna che il personale sanitario capisca, ed è facilissimo, se si tratti o meno di lebbra. Infatti, se si punge la macchiolina e non c’è alcuna sensibilità, con grande probabilità siamo in presenza di lebbra. Però la malattia, in quel preciso momento, sta solo iniziando il proprio ‘lavoro’. Se si scopre in anticipo e si prendono subito i farmaci, ecco che il problema viene risolto facilmente“.

Al problema della diagnosi precoce si è aggiunto in questi due anni quello della pandemia da Covid-19. “Scorrendo i dati epidemiologici dell’Organizzazione mondiale della sanità- dichiara Lissoni- si legge che negli anni passati avevamo 250.000 nuovi casi, mentre l’anno scorso ne abbiamo avuti 120.000. Questo significa solamente che a causa del coronavirus la raccolta dei dati non ha funzionato. La raccolta dati è già difficile in quelle aree in condizioni normali, in questo caso è stato molto complicato perché ne abbiamo contati esattamente la metà. Ciò vuol dire che ci sono perlomeno altre 120mila persone che l’anno scorso potevano essere in qualche modo identificate ed aiutate e che invece, per almeno un altro anno, e quest’anno lo sarà ancora di più, vedranno aumentare i danni provocati dalla lebbra”.

Purtroppo attualmente non esiste un vaccino per questa malattia. “Mi viene un po’ da ridere- commenta amaramente Lissoni- perché in un anno, giustamente, si è trovato il vaccino per il Covid. Per quanto riguarda la lebbra invece stanno ancora lavorando, da oltre vent’anni. Speriamo sche il risultato arrivi quanto prima”.

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