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La neoconsigliera: “A Torino l’aria peggiore d’Italia, Lo Russo consapevole solo in parte”

Sara Diena, 21 anni, la più giovane di Sala Rossa: “Per l’ambiente non basta comprare una borraccia”

Pubblicato:29-10-2021 19:30
Ultimo aggiornamento:30-10-2021 15:05
Autore:

sara diena
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Di Chiara Barison

TORINO – Sara Diena, classe 2000, fa parte di Sinistra Ecologista ed è la più giovane consigliera comunale che Torino abbia mai accolto in Sala Rossa. Studia scienze internazionali per la cooperazione e lo sviluppo all’Università di Torino, e fino a qualche anno fa si immaginava più alle prese con un’esperienza all’estero che con la politica cittadina. “Adesso le persone danno per scontato che questa sarà la mia strada, anche se io non ho ancora una visione che va oltre questo mandato”, chiarisce alla ‘Dire’, “tutto dipenderà da come andranno questi 5 anni”. Anche se non ha certezze sul suo futuro politico, Sara ha le idee molto chiare sul suo impegno per l’ambiente e per Torino. Un’attenzione che nasce come interesse per la giustizia sociale grazie alla sensibilità trasmessa dalla sua famiglia e che poi si è evoluta in attenzione alla giustizia climatica perché, fa presente, le cose sono “strettamente collegate”. 

Sara è consapevole che l’emergenza climatica peggiora a una rapidità drammatica, ed è per questo che ha deciso di candidarsi prima di terminare gli studi “perché il momento di agire è adesso, subito e ora”. 


Sara, ha solo 21 anni e siederà in Sala Rossa insieme a persone molto più grandi, come ci si sente?

Direi che provo un po’ di paura per la responsabilità e l’impegno che questo ruolo mi richiederà. Si tratta di un’occasione rara per una ragazza della mia età. Entrare nel mondo del lavoro sarà un passaggio molto importante visto che fino ad adesso sono stata solo una studentessa. Sarò chiamata a confrontarmi con persone grandi, sia a livello anagrafico che di importanza, e che hanno davvero la possibilità di fare la differenza. L’unica cosa che spero è che questi 5 anni non vadano troppo a intaccare la parte ideologica, la mia motivazione e la mia voglia di fare.

A proposito di questo, qual è la differenza sostanziale tra attivismo manifestato in piazza e impegno politico all’interno di un’istituzione come il Comune di Torino?

Ho deciso di fare questo passo proprio perché credo che la politica dal basso sia fondamentale ma non sufficiente a portare i cambiamenti necessari in poco tempo. Il poco tempo è in relazione all’urgenza della crisi climatica. Ovviamente nulla togliere all’essenzialità della politica dal basso, ma la politica istituzionale è un’occasione di parlare di questi temi con un target diverso, perché è vero che se ne parla nell’opinione pubblica ma la discussione coinvolge principalmente i giovani. Quindi portare le questioni climatiche all’ordine del giorno per 5 anni è davvero l’occasione per martellare, provando a far capire alle 40 persone che saranno in Sala Rossa con me che non si tratta solo di temi da rivista ambientalista. Inoltre, c’è da dire che è facile scendere in piazza e puntare il dito, però è anche vero che quando sei lì e hai la possibilità di fare qualcosa ti rendi conto che la faccenda è più complicata di quello che sembra. La differenza più grande è tra l’individuare il problema e il produrre una soluzione e cercare di farlo collaborando con persone che non hanno la tua stessa idea a riguardo. 

Prima che consigliera comunale, lei è un’attivista dei Fridays for Future Torino. Come è nato il suo interesse per i temi ambientali? 

Ho iniziato a partecipare ai FFF grazie a una mia compagna di scuola. Nel frattempo ho iniziato l’università in cui seguivo un seminario sui cambiamenti climatici ed è lì che ho avuto l’illuminazione. Ricordo precisamente il momento in cui la professoressa di economia ambientale ha  fatto vedere la curva di Keeling, un grafico che mostra la concentrazione di Co2 nell’atmosfera negli ultimi 800mila anni. Nel momento in cui l’ho visto ho avuto un’epifania, ho sentito come una vocazione e ho capito che era arrivato il momento di attivarsi, approfondire e agire. Sono convinta che ci siano dei dati che più di altri smuovono le coscienze in questo senso, i numeri sono molto utili per riportarci con i piedi per terra.

Secondo lei negli ultimi anni la sensibilità collettiva è cambiata? 

Sicuramente l’opinione pubblica si è smossa ma quello che si rischia è un po’ ‘l’effetto borraccia’: viene detto che c’è un problema, allora si comprano la borraccia e la borsa di tela e si pensa di aver fatto la propria parte per l’ambiente. Se prima le persone non sapevano nemmeno della crisi climatica, adesso lo sanno ma non sono consapevoli dell’urgenza. Il problema ovviamente non sono le persone, ma si tratta di una falla nella comunicazione, perché chi è legato a interessi economici e politici è interessato a non informare correttamente.

Tornando alla politica, quali sono le priorità per Torino che si impegnerà a portare avanti in Consiglio comunale?

L’urgenza primaria che abbiamo, e che è stata individuata solo in parte dal sindaco, è quella dell’inquinamento atmosferico. Torino è in assoluto la città con la qualità dell’aria peggiore d’Italia e una delle peggiori a livello europeo. È un caso eccezionale che proprio a causa della sua eccezionalità non viene preso in considerazione. Giusto qualche giorno fa abbiamo superato i limiti di tollerabilità di inquinamento dell’aria cittadina e come ogni ottobre torniamo ad avere un’aria al di fuori dei parametri dell’Unione europea. Questo è un problema non solo dal punto di vista ambientale ma anche sanitario: citerò fino allo sfinimento i 900 morti l’anno solo a Torino per inquinamento dell’aria resi noti da Arpa Piemonte. Per rientrare nei parametri Ue occorre intervenire sui mezzi di trasporto pubblico, perché sono quelli che contribuiscono maggiormente a ridurre l’inquinamento atmosferico. Abbiamo una Ztl molto ridotta, che non è stata attivata durante la pandemia, e siamo la città con più macchine per abitante di tutta Italia. Inoltre, implementare il trasporto pubblico ha anche risvolti sociali, perché significa creare connessioni tra tutte le aree della città che altrimenti non potrebbero essere raggiunte. Insomma, meno macchine ci sono, meno traffico c’è, più le persone sono felici e respirano meglio. Sembra così semplice ma in realtà è molto complicato perchè i trasporti sono sempre stati messi molto da parte. In più, servirebbe un investimento anche sui servizi di sharing. 

Le piste ciclabili possono contribuire a questa rivoluzione dei trasporti di cui parla?

In proposito, sicuramente l’amministrazione precedente ha fatto un gran lavoro, quasi troppo grande. Infatti, ci sono casi in cui pur di fare una pista ciclabile è stata fatta male. Questo è un problema, perché dà adito ancora di più a critiche, anche se non si può negare che sia stato un importante segnale di cambiamento. Alcune piste vanno messe in sicurezza, altre vanno totalmente rifatte e, soprattutto, ci manca una rete ciclabile. Questo incide sugli incidenti perché piste ciclabili scollegate costringono chi le utilizza a passare da una all’altra, andando sui marciapiedi o sulla strada. In sostanza, per spingere le persone a mettere da parte la macchina servirebbe una rete ciclabile che metta fine alla lotta tra automobilisti e ciclisti, lotta che oltretutto alimenta una narrazione tossica portata avanti dalla stampa. Se le persone continuano a identificarsi in una delle due parti ci sarà meno interesse a trovare una soluzione che accontenti tutti.

E poi? Su quali altri temi si batterà?

Bisogna mettere al centro la persona incentivandola a vivere la città al 100%. Anche se non mi piace parlare di periferie, ritengo sia necessario e urgente collegare le zone della città che, pur essendo a due passi dal centro, sono escluse dal resto. Mi riferisco a luoghi come ad esempio Barriera di Milano e Aurora, caratterizzati da una disuguaglianza anche sul piano del trasporto pubblico che le rende difficilmente raggiungibili e poco interessanti per il torinese medio che ne percepisce solo il degrado.

Prima ha parlato di ‘effetto borraccia’, che ci dà l’illusione di ridurre il nostro impatto ambientale senza che il cambiamento sia effettivo. C’è invece qualche abitudine quotidiana che ti rendi conto essere poco eco-sostenibile e che vorresti cambiare, ma alla quale al momento non c’è alternativa?

La cosa più grande che non posso permettermi di fare è cambiare il riscaldamento della casa. Mio padre purtroppo ha realizzato che il passaggio a un sistema più eco-sostenibile ti costringe a spendere di più, e come famiglia non possiamo permettercelo. 

Personalmente vorrei essere vegana, al momento non mangio carne da quasi due anni e sono molto orgogliosa di questo. In più mangio pochissimo pesce. Poi c’è la macchina, che uso di rado e solo quando la mia ‘me’ ambientalista non si sente in colpa, cioè praticamente mai. Cerco di utilizzarla solo per spostamenti lunghi e se vengono con me altre persone. 

Un’altra cosa che adesso mi pesa un po’ è che dovrei comprare dei vestiti per ricoprire il ruolo formale in Sala Rossa, ma trovare abbigliamento prodotto con basso impatto ambientale è difficilissimo, più complicato di trovare le alternative alla carne. 

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