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Covid, lo studio psicologico: “I ‘baby boomers’ percepiscono meno il rischio”

Ma il 73% rispetta il distanziamento. Più timorosi e meno distanti i Millennials

Pubblicato:29-10-2020 12:46
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:08

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ROMA – Le reazioni al Covid-19, come il rispetto del distanziamento fisico e sociale, cambiano da generazione a generazione. Questa l’intuizione di molti, che adesso il mondo accademico ha reso evidenza comprovata. I baby boomers (1946-1964) percepiscono il rischio di contrarre il virus in maniera nettamente minore rispetto ai Millennials (1981-1996) o alla Generazione Z (1997-2012). Questi i risultati del recente studio ‘Social distancing in response to the novel coronavirus (COVID-19) in the United States’ pubblicato da Nina B. Masters e colleghi su PlosOne. Oltre 700 i partecipanti delle diverse coorti generazionali statunitensi, e tre trend fondamentali da valutare: “rischio percepito su una scala da 0 a 100%”, “distanziamento fisico di almeno 6 piedi (1 m, ndr)” e cambiamenti nei comportamenti tra cui: “andare al lavoro, a scuola, avere incontri con colleghi, compagni di classe, amici, andare in un club o in un bar, al ristorante o uscire insieme ai propri figli”.

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I RISULTATI

Tra i risultati principali, la ricerca statunitense sottolinea la tendenza dei boomers “a una minore percezione del rischio di contrarre il virus, con un rischio percepito medio al 30%”, seguiti dai più giovani della “Generazione X (1965-1980) al 34%”. Percentuali che crescono di almeno una decina per Millennials e Generazione Z che sfondano il 40-41%, rispettivamente, sentendosi “più esposti al rischio di infezione”. Nonostante ciò, lo studio fa emergere un risultato differente quando si tratta invece del “distanziamento fisico”. A livello di generazioni, infatti, “c’e’ un leggero aumento nella proporzione tra distanziamento sociale e aumentare dell’eta’”. In parole povere: a risultare più conformi di tutti ai dettami delle distanze sociali, sono proprio i baby boomers che dichiarano di rispettarle nel 73% dei casi, contro il 62% dei Millennials e dei più giovani (Gen Z).


Sul versante del cambiamento delle routine quotidiane, invece, “tra quanti lavorano o studiano fuori dalla propria abitazione- osservano gli studiosi- il 63% dichiara di uscire di meno o per niente dall’inizio dell’epidemia”. E quasi l’80% del campione afferma che da inizio pandemia “ha incontrato meno amici e colleghi”. I due terzi dei genitori “che uscivano regolarmente con i figli, infine, hanno limitato quest’attività”. Nel complesso, riflettono i ricercatori, “c’è stato un grande cambiamento nei comportamenti. La maggior parte delle persone si è allontanata socialmente almeno un po’ di più rispetto a prima”.

Certo è poi, continuano, che “i comportamenti sembrano variare anche a seconda dell’età”. C’e’ dunque “bisogno di individuare modi migliori per modificarli”. Evidentemente, “il distanziamento sociale può essere più difficile tra i giovani adulti”, potenzialmente anche causa, chiosano gli studiosi: “di barriere come lavoro, assistenza all’infanzia, insicurezza abitativa, o semplice mancanza di comprensione del termine ‘distanziamento sociale’. Molto sta cambiando- concludono- e c’è bisogno di ulteriori sondaggi per monitorare cosa cambia e cosa, invece, non è cambiato”. La ricerca è firmata da da Nina B. Masters, Shu-Fang Shih, Allen Bukoff, Kaitlyn B. Akel, Lindsay C. Kobayashi, Alison L. Miller, Harapan Harapan, Yihan Lu e Abram L. Wagner. 

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