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Pd, Vaporidis legge Adriano Olivetti

L'attore ha letto una sintesi del discorso che Olivetti rivolse ai lavoratori della fabbrica di Ivrea il giorno della vigilia di Natale del 1955

Pubblicato:29-10-2017 11:27
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:50

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PORTICI – In occasione della Conferenza programmatica del Partito democratico, l’attore Nicolas Vaporidis ha letto una sintesi del discorso che Adriano Olivetti rivolse ai lavoratori della fabbrica di Ivrea il giorno della vigilia di Natale del 1955.

“Amici lavoratori- diceva Olivetti- esattamente sei anni or sono, il 24 dicembre 1949 rivolsi a voi, da questo microfono, un breve messaggio in occasione di quel Natale ed iniziai passando in rassegna gli avvenimenti più salienti di quell’anno. Mi sia consentito anche oggi a tanta distanza di tempo, iniziare riassumendo quanto è passato nella nostra fabbrica negli anni più recenti. Verso l’estate del 1952 la fabbrica attraversò una crisi di crescenza e di organizzazione che fu visibile a tutti. Fu quando riducemmo gli orari; le macchine si accumulavano nei magazzini di Ivrea e delle Filiali a decine di migliaia e mancavano ogni mese centinaia di milioni. A quel punto c’erano solo due soluzioni: diventare più piccoli, diminuire ancora gli orari, non assumere più nessuno; sapendo che c’erano cinquecento lavoratori di troppo e taluno incominciava a parlare di licenziamenti. L’altra soluzione era difficile e pericolosa: instaurare immediatamente una politica di espansione più dinamica, più audace. Fu scelta senza esitazione la seconda via”.


In Italia, in un solo anno, “furono assunti 700 nuovi venditori, fu ribassato il prezzo delle macchine, furono create nuove filiali. La battaglia, fu vinta d’impeto, e diciotto mesi dopo il pericolo di rimanere senza lavoro era ormai scongiurato. Vi è uno scopo solo in tutto questo: assicurare a questa fabbrica e a chi vi lavora, più sicurezza, più libertà, più benessere”.

Olivetti ricorda: “Poiché sono stato con voi nella fabbrica, conosco la monotonia dei gesti ripetuti, la stanchezza dei lavori difficili, l’ansia di ritrovare nelle pause del lavoro la luce, il sole e poi a casa il sorriso di una donna e di un bimbo, il cuore di una madre. Perciò sono stato io a lanciare l’idea di arrivare qui nella nostra fabbrica per primi a ridurre l’orario, a realizzare gradualmente ma decisamente la settimana di cinque giorni. Da molto tempo non prendevo la parola dinanzi a voi perché mi era sembrato «difficile» il farlo se non a fronte di motivi seri ed importanti. Né possa sembrarvi questo mancanza di considerazione o di riguardo. Ma fin dal tempo in cui studiavo al Politecnico di Torino i mattoni rossi della fabbrica mi incutevano un timore e avevo paura del giudizio degli uomini che passavano lunghe ore alle macchine quando io invece disponevo liberamente del mio tempo”.

Talvolta, “quando sosto brevemente la sera e dai miei uffici vedo le finestre illuminate degli operai che fanno il doppio turno alle tornerie automatiche, mi vien voglia di sostare, di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza a quei lavoratori attaccati a quelle macchine che io conosco da tanti anni. Mi illudo di non avere ignorato le vostre aspirazioni, i vostri desideri, i vostri bisogni. Poiché i vostri dolori, le vostre sofferenze, e i vostri timori e le vostre speranze sono da sempre le miei”.

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