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ROMA – “Fare di tutto per fermare la guerra di sterminio che si sta ampliando dalla Striscia di Gaza alla Cisgiordania: è questo che chiediamo alla comunità internazionale e ai ministri europei che sono riuniti oggi a Bruxelles”: Rula Alsheikh, fotoreporter palestinese, parla con l’agenzia Dire da Ramallah.
La sua voce arriva via WhatsApp nel secondo giorno di quella che l’esercito di Israele ha definito “operazione anti-terrorismo”. Un intervento in corso in più governatorati della Cisgiordania, in particolare nelle aree settentrionali di Jenin e Tulkarem. Almeno 18 le persone uccise nei blitz e negli scontri che ne sono seguiti, stando alla locale agenzia di stampa Wafa. Tra le vittime, secondo l’esercito di Tel Aviv, anche Mohammed Jaber, noto anche come Abu Shujaa, un comandante dell’organizzazione Jihad islamica.
Quella di Alsheikh, 31 anni, è una testimonianza diretta. “Per la Palestinian Broadcasting Corporation ho seguito le manifestazioni che si sono tenute da ieri nel centro di Ramallah” riferisce la fotografa. “C’è dolore e c’è rabbia: la richiesta è di porre subito fine alle violenze alle quali è sottoposto il nostro popolo”.
Da Ramallah, nell’area classificata come “A”, l’unica della Cisgiordania dove la gestione della sicurezza è affidata non ai militari di Israele ma agli agenti dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Alsheikh conferma l’ampiezza dell’operazione di Tel Aviv. “Oltre ai governatorati di Jenin, Tubas e Nablus sono state coinvolte zone rurali qui vicine” riferisce la fotoreporter. “Nel distretto di Ramallah ci sono stati raid di coloni israeliani, incursioni delle forze di occupazione e arresti di cittadini, sottoposti a interrogatori sul posto nelle città di Arura, Beit Rima, Kafr Ein e Qarawat Bani Zeid“. Le richieste alla “comunità internazionale” hanno segnato le manifestazioni al via ieri. “Mentre scattavo”, riferisce Alsheikh, “ho ascoltato gli appelli e le grida di dolore, anche perché siano liberati i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri di Israele”.
La nuova fiammata del conflitto in Medio Oriente è divampata il 7 ottobre scorso, a seguito di assalti condotti da commando di Jihad islamica e di Hamas di base Gaza. Quel giorno sono stati sequestrati oltre 200 cittadini israeliani. Molti di loro restano prigionieri nella Striscia. Secondo le ultime stime, si tratterebbe di 103 persone, comprese però 33 che si ritengono probabilmente già decedute. Sono invece più 40mila, stando all’amministrazione di Gaza, le persone uccise nei bombardamenti di Israele sulla regione. L’ipotesi di un accordo di tregua, sulla quale lavorano da mesi senza successo Stati Uniti, Egitto e Qatar, prevedrebbe la liberazione degli ostaggi israeliani in cambio di una scarcerazione di prigionieri palestinesi. Al telefono Alsheikh sospira, e si sofferma anche sulle responsabilità dei mezzi di informazione internazionali. “Ai media arabi e anche europei chiediamo di non tacere delle sofferenze della popolazione palestinese e delle atrocità della guerra” denuncia la fotoreporter. “Questa non è solo un’operazione militare, ma la campagna più massiccia mai condotta dal 2002, una continuazione della guerra cominciata a Gaza”.
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