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Simone Biles: “Ho capito che valgo più dei miei successi”

Lo psicologo Fabio Lucidi: "Difficile gestire l'attenzione del mondo. È davvero importante riuscire a capire che un atleta compete per vincere, ma con una grande probabilità di perdere"

Pubblicato:29-07-2021 11:10
Ultimo aggiornamento:29-07-2021 16:22

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ROMA – “L’amore e il sostegno che ho ricevuto mi hanno fatto capire che io valgo più dei miei successi e della mia ginnastica, una cosa a cui non avevo mai creduto prima”. Sono le parole che ha twittato Simone Biles, l’incredibile ginnasta degli Stati Uniti, per rispondere ai tanti messaggi di affetto che le sono arrivati da tutti e da tutto il mondo dopo la decisione di ritirarsi dalle Olimpiadi di Tokyo.

LO PSICOLOGO: “DIFFICILE GESTIRE L’ATTENZIONE DEL MONDO”

“Non c’è il minimo dubbio che essere attesi dal mondo in una dimensione che ha un’attenzione spasmodica rimane un livello molto difficile da tollerare e gestire per chiunque. C’è bisogno di un sistema di supporto e di sostegno per tutti questi atleti”. Ne è convinto Fabio Lucidi, psicologo e preside della Facoltà di Medicina e psicologia della Sapienza Università di Roma, che commenta la notizia del ritiro della ginnasta statunitense Simone Biles a Tokyo 2020. Un ritiro che ha ottenuto un vasto sostegno da molti atleti, tra cui anche il nuotatore Michael Phelps, e che ha acceso i riflettori sul delicato tema della salute mentale degli atleti.

Quando si parla di sportivi come Simone Biles, Michael Phelps o Naomi Osaka (la tennista giapponese), “non si tratta soltanto di grandi atleti- tiene a precisare Lucidi- ma di grandi atleti con caratteristiche del tutto particolari sia per quanto riguarda la storia personale che professionale. La ginnastica- ricorda ad esempio lo psicologo- è una disciplina, come il tennis e il nuoto, in cui l’inizio della carriera agonistica avviene in età molto precoce. Questi atleti preparano la loro partecipazione al quadriennio olimpico per una intera vita, sin dall’infanzia pongono un’attenzione spasmodica a ogni singolo gesto di ogni singolo giorno, di ogni singolo mese, di ogni singolo anno di un percorso che li porterà a un appuntamento nel quale saranno, per altro, estremamente soli e sotto l’occhio di un mondo che è sempre più presente. Il mondo olimpico- infatti- è sempre stato sotto l’occhio di tutto il mondo, ma con i social e le distanze che si accorciano grazie alle connessioni, la pressione aumenta particolarmente“.


“Inoltre- aggiunge il preside della Facoltà di Medicina e psicologia della Sapienza- quella attuale è un’edizione olimpica particolare, molto attesa, che ha anche rotto una dimensione ciclica perché viene disputata dopo 5 anni e non dopo il consueto quadriennio. Anche questo ha aumentato la pressione su alcuni atleti. Siamo dunque di fronte a un incrocio del tutto particolare tra vite altrettanto particolari e un momento di grande pressione, sia a livello sportivo che storico”.

La costruzione di un momento come quello olimpico, spiega l’esperto, “corrisponde a tre livelli di preparazione: la preparazione atletica, la costruzione di un percorso che porterà l’atleta al momento massimo della sua capacità prestativa esattamente nel momento della competizione olimpica e la costruzione di un percorso che lo porterà ad essere pronto a livello mentale proprio in quel momento. Proprio rispetto alla costruzione di questo obiettivo mentale, l’atleta va schermato e va gestita la comunicazione con l’esterno in modo da difenderlo da un ulteriore motivo di pressione. Non stiamo parlando di atleti che se vincono bene, se non vincono ci sta- sottolinea con enfasi Lucidi- Stiamo parlando di professionisti per i quali l’unico obiettivo possibile è vincere. È una pressione difficile da sostenere. Per questo è davvero importante riuscire a capire che un atleta compete per vincere, ma con una grande probabilità di perdere. E sono proprio gli atleti i primi a dover acquisire questa consapevolezza- constata lo psicologo- per non rimanere schiacciati dalla pressione del risultato. Un atleta è proprio questo: qualcuno che si pone un risultato e gestisce la pressione sull’ottenimento di quel risultato. Una volta che si è entrati nella dimensione in cui si può solo far meglio del risultato, la pressione può solo scendere, ma arrivare a quel punto- conclude- è difficilissimo”.

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