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Avvocata Nacca: “Per il patriarcato una madre in carriera è inadeguata”

Contributo di Michela Nacca, avvocata rotale e membro comitato Diredonne

Pubblicato:29-04-2019 12:49
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:24
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ROMA – “Per il patriarcato la donna in carriera è sempre una madre inadeguata e così viene rafforzato il ‘tetto di cristallo’ alimentato dal patriarcato: lavorando sull’invidia ed il senso di colpa delle donne. Elena del Pilar Ramallo Minan, affermata avvocata spagnola, alcuni giorni fa si è vista privata dei propri figli in base alla testimonianza dell’ex marito e della ex suocera, unici testimoni interrogati in giudizio, secondo i quali ella avrebbe dedicato ‘troppo tempo’ al lavoro, sacrificandolo ai tempi domestici. Questa è stata la decisione emessa dal Tribunale della Famiglia della Galizia, presieduto da una donna: la giudice Carmen Lòpez, che ha negato l’affido condiviso dei suoi due figli di 7 e 13 anni all’avvocata spagnola”. Così Michela Nacca, presidente dell’associazione ‘Maison Antigone‘, avvocata della Sacra Rota e membro del Comitato DireDonne, in un suo contributo sulle donne madri lavoratrici.

“Ciò è avvenuto- continua Nacca- nonostante in Spagna l’affido condiviso (la ‘custodia compartida’) sia disciplinata dall’art. 92 del Codice civile, grazie ad una legge introdotta nel 2005 (la n.15 del 8 luglio 2005), analoga alla nostra L. 54/2006, e nonostante la Galizia sia una di quelle regioni in cui forti sono i movimenti politici che vorrebbero imporre in ogni caso di separazione la bigenitorialità, intesa come collocazione paritaria alternata. La verità tuttavia è un’altra- avverte l’avvocata nel suo articolo- perché l’unica genitorialità ad essere difesa nei Tribunali sembrerebbe essere, oggi, quella maschile: ciò avviene sempre più spesso nonostante agiti di violenza domestica paterna, talvolta anche accertati con sentenza passata in giudicato. Tanto più le donne prendono consapevolezza dei loro diritti, denunciando le violenze domestiche subite- sottolinea- tanto più nei tribunali civili si tende ad imporre la genitorialità maschile, arrivando anche a negare o ignorare la violenza, ritenuta un danno minore rispetto all’assenza della figura maschile paterna nella vita del bambino abusato”.

E continua: “Tanto più le donne si affermano in ambiti professionali una volta ad appannaggio solo maschile, tanto più il sistema tende a discriminarle, al fine di ritardarne la carriera: ed è così che solo un mese fa nel tribunale di Roma una donna avvocata, incinta al nono mese di gravidanza, si è vista rifiutare dal giudice una richiesta di rinvio di udienza prevista per il 16 aprile scorso, coincidente con la data del parto: una prassi certo non inusuale- spiega la presidente di ‘Maison Antigone’- quando sono i colleghi maschi ad esercitare le medesime richieste per motivi gravi di salute; un diritto di rinvio dell’udienza per motivi legati alla gravidanza ed al parto, che peraltro è espressamente tutelata dalla legge (cfr. artt. 81 bis c.p.c. e 420 ter c.p.p. riformato da L. 27 dicembre 2017, n. 205)”.


“Lo stesso trattamento di favore assicurato agli uomini nel lavoro viene assicurato anche nei tribunali civili, in difesa della loro relazione genitoriale. Mentre nei confronti delle madri- osserva l’avvocata- qualsiasi pretesto sembra ormai sufficiente per vedere negata dai tribunali dei minori la loro relazione genitoriale e l’affido: rischiano così di perdere l’affido o la collocazione prevalente le madri povere, quelle gravemente malate (di cancro o di altra patologia invalidante), se lavorano troppo o troppo poco, diventando dunque povere, se ‘amano troppo i figli’, se troppo anziane o troppo giovani, se non ostacolano il desiderio dei loro bambini maschi di vestirsi di rosa o di voler studiare danza, se non impongono loro la presenza di padri brutali o pedofili, se denunciano le violenze domestiche, ed anche se depresse, magari proprio a causa ed in conseguenza delle violenze domestiche subite dal padre del loro figlio”.

“Ciò è quanto leggiamo- continua Nacca- nella nostra attività professionale e come presidente dell’associazione ‘Maison Antigone’, nelle motivazioni di molte consulenze tecniche di ufficio (Ctu, ndr) che giustificano la sottrazione dei bimbi alle loro madri, spesso accolte acriticamente nelle sentenze. A qualsiasi uomo impegnato nel lavoro non verrà mai negato il diritto all’affido condiviso dei figli solo perchè povero o perchè lavora, neppure ai super manager in carriera verranno mai sottratti i figli a causa di questo loro impegno professionale: è impensabile solo immaginarlo. Ma lo stesso non può dirsi per una donna. Non ci viene perdonato il fatto di voler diventare madre e al contempo non voler rinunciare al nostro lavoro ed alla carriera che meritiamo”.

“‘The patriarchy lives on, accusing educated, independent women, who have careers involving travel and professional responsibilities, and who also get divorced, of being bad mothers’ ha dichiarato Elena del Pilar Ramallo Miñán esprimendo il proprio ‘J’accuse’: questo è lo stigma sociale che noi donne riceviamo e grazie al quale viene mantenuto un immobilismo sociale imbarazzante- prosegue l’avvocata, tornando sul caso spagnolo- Uno stigma di madri inadeguate, un ‘mother shaming’ (come lo ha definito la scrittrice Kim Brooks nell’editoriale del New York Times, intitolato ‘Motherhood in the Age of Fear’) che spesso ci viene rivolto anche dalle altre donne, come nel caso della Giudice che ha privato Elena dei suoi figli. Forse si tratta di donne che, per divenire madri, hanno rinunciato al lavoro o alla progressione di carriera, o donne che viceversa hanno rinunciato alla maternità per prediligere la carriera e la realizzazione personale, oppure di donne che, non avendo rinunciato nè all’una, nè all’altra, forse ritengono di essere superiori ad Elena: più brave, più adeguate, più capaci di rispondere alle alte aspettative altrui, sia in famiglia che al lavoro”.

“Donne frustrate o invidiose- conclude la presidente di ‘Maison Antigone’ nel suo articolo- afflitte da ingiusti sensi di colpa o iperattive imbevute da sensi di superiorità, o donne semplicemente convinte di dover dare e pretendere il massimo, in modo totalizzante, per essere adeguate al sistema: in ogni caso tutte situazioni alimentate da pregiudizi insufflati dal patriarcato, geloso di difendere le proprie posizioni di leadership maschile in ogni campo, attraverso un controllo giudicante ed il ricatto emotivo. Uno stigma talvolta espresso anche da noi donne che ci diciamo convintamente femministe, non rendendoci conto di quanto invece siamo ancora condizionate, nonostante tutto, di maschilismo becero, castrante e giudicante, che finisce per rafforzare proprio quel tetto di cristallo sulle nostre ed altrui teste, che pur diciamo tanto di voler combattere”.

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