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Shopping nei giorni festivi? 6 italiani su 10 lo bocciano

Confesercenti ricorda la proposta di legge presentata nel 2013 per 'riequilibrare' la concorrenza

Pubblicato:29-04-2018 10:17
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:49
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ROMA – Lo shopping nei giorni di festa non convince gli italiani: il 59% si dice favorevole a introdurre una limitazione delle aperture delle attività commerciali almeno in occasione delle principali celebrazioni nazionali, come Natale, Capodanno, Pasqua, 25 aprile ed il prossimo 1° maggio, giornata in cui solo 2 intervistati su 10 progettano di fare acquisti. È quanto emerge da un sondaggio sull’impatto delle liberalizzazioni commerciali sulle abitudini di consumo, condotto da SWG per Confesercenti su un panel di 1000 consumatori maggiorenni.

La liberalizzazione delle aperture delle attività commerciali, introdotta dal governo Monti a partire dall’1 gennaio 2012, prevede la possibilità di rimanere aperti sempre, anche a Pasqua e Natale. Obiettivo dichiarato del provvedimento, l’aumento delle occasioni d’acquisto per i consumatori e il conseguente impulso a consumi ed occupazioni. Ad oggi, in media, un consumatore approfitta delle liberalizzazioni 10 giorni l’anno, sui circa 60 ‘in più’ resi disponibili dalla deregulation tra domeniche e feste comandate.

DOPO LIBERALIZZAZIONE NON C’E’ STATO BOOM DI ACQUISTI

Lo spostamento dello shopping dai giorni feriali a quelli festivi non ha, però, prodotto lo sperato aumento degli acquisti: nel 2017 le vendite del commercio al dettaglio sono ancora inferiori di oltre 5 miliardi di euro rispetto ai livelli del 2011, ultimo anno prima della liberalizzazione.


LA ‘CATASTROFE’ DEI PICCOLI NEGOZI

Anche l’effetto sull’occupazione è stato nullo: se è vero che nella grande distribuzione sono state assunte circa 30mila persone, il provvedimento è stata una catastrofe per i negozi indipendenti. Che, a partire dal fattore lavoro, non sono stati in grado di competere con le aperture 24 ore su 24, sette giorni su sette, praticate dalla grande distribuzione. E sono stati costretti a chiudere: secondo le nostre stime, dal 2012 ad oggi l’aumento di competizione innescato dalla deregulation ha portato alla cessazione di almeno 90mila piccoli negozi.

IL MERCATO SI E’ SPOSTATO VERSO GRANDE DISTRIBUZIONE

La deregulation, continua Confesercenti, è infatti riuscita solo nell’intento di spostare quote di mercato verso la grande distribuzione, l’unica in grado di stare aperta 365 giorni l’anno, contribuendo all’aumento dell’erosione di quote di mercato della gran parte dei piccoli esercizi, che dal 2011 hanno visto travasare circa 7 miliardi di euro di vendite travasate dai negozi alla Gdo. Il tutto in un contesto già messo sotto pressione dalla concorrenza del commercio online al retail tradizionale: tra il 2011 ed il 2017 il fatturato dell’ecommerce è infatti cresciuto di 3,7 miliardi. In media, i consumatori acquistano 5 volte l’anno via web.

Per riportare una situazione di equilibrio concorrenziale nella distribuzione commerciale, Confesercenti ha presentato nel 2013 una proposta di legge di iniziativa popolare per un regime di aperture in base alle necessità reali dei territori, riportando la decisione ai sindaci in accordo con le associazioni. È chiaro che lì dove c’è bisogno, come nelle mete turistiche, è necessario che le attività commerciali siano aperte. Ma dove non c’è bisogno, la deregulation si è trasformata in un obbligo competitivo che ha favorito i grandi e schiacciato lavoratori e piccoli imprenditori. La nostra è una proposta equilibrata, conclude Confesercenti, che ha già raccolto il favore di alcune forze politiche. Il testo è alla Camera e adesso, con il nuovo Parlamento, è tornato in cima alla lista delle leggi che aspettano il prossimo esecutivo: deve solo essere trasformato in legge.

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