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A Roma la follia diventa arte con il museo laboratorio della mente

Il direttore Pompeo Martelli: "Qui la comunità si fa corpo curante"

Pubblicato:29-03-2021 12:06
Ultimo aggiornamento:29-03-2021 14:07

museo salute mente roma
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ROMA – ‘Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole. E la luce del giorno si divide la piazza, tra un villaggio che ride e te, lo scemo che passa… Io cercai di imparare la Treccani a memoria. E dopo maiale, Majakovskij, malfatto, continuarono gli altri fino a leggermi matto…’. Fabrizio De André ci perdonerà se prendiamo in prestito alcune strofe del suo brano ‘un matto’ (dietro ogni scemo c’è un villaggio), per parlare di salute mentale, tema da oltre un anno divenuto più attuale che mai a causa della pandemia da Covid. Le chiusure e le restrizioni hanno infatti provocato un aumento di casi legati ad ansia, depressione e decadimento cognitivo. In questo caso ci appropriamo del testo del cantautore genovese per raccontare un luogo dedicato interamente alla salute mentale.

Si tratta del museo laboratorio della mente di Roma, allestito nel VI padiglione dell’ex manicomio di Santa Maria della Pietà. Aperto nel 2000, il museo è organizzato in maniera immersiva e multimediale e coinvolge il visitatore in una continua oscillazione tra elementi reali e virtuali, stimolandone la partecipazione attiva. L’agenzia Dire ne ha discusso con il dottor Pompeo Martelli, direttore del Museo laboratorio della mente.

– Direttore Martelli, cos’è il museo laboratorio della mente?


“Il nostro spazio museale è un servizio del dipartimento di salute mentale della Asl Roma 1. È un luogo dove si fa salute mentale e dove viene valorizzato il concetto di ‘documentabilità’, lavorando sulle memorie e sulla componente patrimoniale della nostra azienda, la biblioteca storica scientifica del Santa Maria della pietà e archivio storico della psichiatria italiana. È uno spazio nel quale la comunità si fa corpo curante”.

– Cosa vi trova una persona che viene a visitare la vostra struttura?

“Innanzitutto un percorso estremamente suggestivo, realizzato in collaborazione con il gruppo di artisti di Milano ‘studio azzurro’. All’interno vi sono poi moltissime testimonianze ricavate dalle fonti orali sulla storia di questa istituzione e un percorso che permette ai visitatori di comprendere come funziona la mente umana, che lavora sull’inclusione sociale e sulla lotta allo stigma”.

– Perché realizzare un museo della mente?

“Perché non volevamo dare vita ad un museo di storia della psichiatria. In Italia non è possibile farlo poiché la psichiatria sociale italiana è ricca di multiformi talenti in relazione ai diversi territori, ognuno dei quali ha costruito percorsi caratteristici e peculiari. Il nostro obiettivo era quello di dare vita ad un vero laboratorio dei processi psichici, dove la comunità si interfacciasse con gli operatori. Si tratta di un luogo di crescita, di conoscenza, di formazione continua e, soprattutto, di un luogo dove le storie del passato si riattivano per pensare il futuro”.

– Questo luogo di crescita, conoscenza e formazione viene visitato maggiormente da turisti stranieri o da cittadini italiani e romani?

“Viene visitato principalmente da cittadini italiani ma registriamo anche la presenza di turisti stranieri che si affacciano nel nostro museo quando vengono a passeggiare per le strade di Roma. Tra l’altro, questa struttura fa parte di una rete europea e internazionale che negli anni proprio noi abbiamo facilitato in termini di costruzione. Siamo in continuo contatto con numerosi colleghi in Europa che lavorano in strutture per certi versi simili alla nostra. Vi sono inoltre luoghi che stanno nascendo e che prendono ad esempio il nostro museo laboratorio della mente, come quello di Sidney, in Australia”.

– La visita dello spazio museale capitolino è adatta solo ad un pubblico adulto o Lei la consiglia anche a fasce d’età più giovani?

“Come elemento di lavoro e come servizio educativo del museo abbiamo immaginato un’eta’ che va dalla terza media in su. A volte abbiamo ospitato anche gruppi di bambini della scuola elementare, ovviamente facendo vedere loro solo alcune zone della nostra struttura e non l’intero percorso”.

– C’è un messaggio che la visita del museo vuole lanciare?

‘Come affermava Franco Basaglia ‘è accaduto, può ancora riaccadere’. Noi non dimentichiamo la storia da cui proveniamo, perché si tratta di una conquista tipicamente italiana. La ‘Legge 180’ è una conquista del nostro Paese. Siamo gli unici nel mondo ad aver lavorato in questo senso con l’abbattimento delle barriere manicomiali. Sappiamo però che si è trattato di un momento storico particolare che ha portato al raggiungimento di questo obiettivo e potrebbe accadere di tornare indietro. Il nostro museo è un luogo dove i visitatori riescono a capire quanto sia assolutamente inutile e assurdo tornare indietro. Dunque, è un luogo in cui tutti, in qualche modo, imparano a procedere al meglio, nel rispetto dei diritti umani e della persona e non solo nei riguardi della sua malattia’.

– Direttore Martelli, Lei ha parlato della ‘Legge 180’, la legge che prende il nome proprio da Franco Basaglia, considerato il fondatore del concetto moderno di salute mentale. Il prossimo 13 maggio saranno passati 43 anni dalla ‘Legge 180’ che istituì, tra l’altro, la chiusura delle strutture manicomiali. Cosa è cambiato per i pazienti in questo lungo periodo?

“Sono cambiate molte cose. Però su questo bisogna stare attenti, perché è vero che abbiamo avuto momenti di grande trasformazione a ridosso dell’approvazione della Legge, nei decenni successivi. Ma abbiamo registrato anche grandi problemi nel corso del tempo. Oggi questi problemi, in qualche modo, riverberano. La pandemia da Covid nella quale ci troviamo sta mostrando chiaramente quali siano gli elementi più deboli della società e le persone affette da disturbi psichici rappresentano quelle che ne stanno soffrendo maggiormente”.

– In effetti ci troviamo di fronte ad un aumento delle patologie mentali legato alle chiusure e alle limitazioni degli spazi e delle restrizioni interpersonali: sono cresciuti i disturbi legati ad ansia e depressione fino ad un incremento di casi di decadimento cognitivo. Lei se lo aspettava?

“In realtà noi non abbiamo mai conosciuto una pandemia. Apparteniamo ad una generazione che, per fortuna, non aveva mai scoperto e sperimentato tutto questo. È evidente, ce ne siamo resi conto rapidamente, che l’abbandono delle relazioni sociali, la chiusura in spazi ristretti, l’impossibilità di avere un contatto o una normale vita di relazione avrebbe colpito le persone che sui processi di relazione sono quelle più in difficoltà. È venuta meno la capacità di poter costruire e consolidare progetti terapeutici basati proprio sullo scambio, sull’incontro e sulla socialità. Una situazione ancora presente all’interno dei servizi della salute mentale”.

– La pandemia da Covid ha costretto alla chiusura, e continua a farlo ancora oggi, di numerose strutture. Tra queste anche gli spazi museali. Come avete ovviato alle restrizioni?

Per prima cosa abbiamo adattato l’ingresso al museo ai nuovi sistemi di protezione. Abbiamo infatti contingentato le visite e realizzato un percorso del tutto protettivo per i visitatori. Quando una persona fa il proprio ingresso al museo laboratorio della mente deve indossare guanti e mascherina e deve seguire un percorso di attenzione nell’interazione con le installazioni. Certamente tutto ciò è molto frustrante, perché sembra quasi che il museo si trasformi in una sorta di ospedale: chi entra si trova infatti di fronte un ambiente che, in qualche modo, ricorda una struttura nosocomiale. Abbiamo però la fortuna di trovarci nel Santa Maria della pietà, che è un parco. Quindi, il nostro progetto di museo è inserito nel processo di riqualificazione dello stesso Santa Maria della pietà. Questo ci consente, quando il tempo è bello e sussistono le condizioni atmosferiche favorevoli, di lavorare in esterno, fare brevi passeggiate educative e illustrare spazi che hanno a che fare la storia del museo. È ovvio che siamo in sofferenza ma vogliamo ugualmente pensare in positivo. Tra l’altro stiamo realizzando un bellissimo ‘virtual tour’, che permetterà a tutti di vedere il museo laboratorio della mente dalla propria casa. La visita virtuale conterrà inoltre numerosi step educativi successivi a quello che la struttura museale, al momento, non è in grado di offrire: dagli elementi di conoscenza a quelli di aiuto fino al supporto sociale e psicologico”.

– Direttore Martelli, Lei ci ha parlato in precedenza dei visitatori del museo laboratorio della mente: a vederlo sono venuti anche ex pazienti?

“Certamente e non solo. Alcuni ex pazienti ci hanno addirittura aiutato a fare da guida e questo rappresenta uno degli obiettivi fondamentali della nostra struttura. Siamo di fronte ad un progetto di ristrutturazione del museo, che a breve ci porterà inevitabilmente ad una sua chiusura temporanea per poterlo ampliare e migliorare anche attraverso il completamento del percorso delle opere espositive. Nei nostri progetti c’è proprio quello di far lavorare all’interno della struttura museale anche alcuni giovani affetti da disturbi psichici che sono in carico ai nostri servizi di salute mentale e che potrebbero diventare veri e propri ‘utenti esperti’ nella guida del museo per quanti vengono a visitarne gli spazi. Si tratta di un’attività già avvenuta in passato che vorremmo riproporre e migliorare proprio con la riapertura del museo”.

– C’è un messaggio che vuole mandare alle istituzioni, in particolare al ministero della Salute del neo governo Draghi?

“Con il ministero della salute abbiamo un ottimo rapporto e ogni anno partecipiamo alla giornata mondiale della salute mentale, tema su cui vorremmo, ovviamente, una maggiore attenzione. Bisogna fare ulteriori sforzi e aumentare le risorse ed il personale. Ma, soprattutto, è necessario capire che la cultura della salute e la cura delle persone affette da problemi di salute mentale passano anche attraverso queste forme di intervento, che costituiscono le forme della conoscenza e dell’incontro. Il museo laboratorio della mente di Roma non è l’unica esperienza italiana: abbiamo infatti realizzato la ‘mente in rete‘, della quale fanno parte numerose aziende sanitarie locali che sviluppano iniziative in linea con la nostra idea di salute mentale e di cultura della salute mentale. Voglio ribadire che la salute mentale significa ‘cittadinanza attiva‘: non si risolve solo all’interno dei percorsi tradizionali di cura clinica”.

– Da domani il Lazio tornerà in ‘zona arancione’ ma questo non consentirà ancora al museo laboratorio della mente di Roma di riaprire le proprie porte ai suoi visitatori. Sono comunque previste nuove iniziative?

“È evidente che anche noi, in questo momento, stiamo vivendo una situazione di grande difficoltà. Nonostante tutto abbiamo programmato due eventi nei prossimi mesi: a maggio inaugureremo una bellissima installazione dal titolo ‘ricordare il futuro’, che sarà collocata all’interno del nostro archivio storico. È uno spin-off del museo, al di fuori del palazzo ma di fronte ad esso, che troverà posto nel nuovo e suggestivo percorso pedonale del parco di Santa Maria della pietà. Nel mese di luglio parteciperemo poi ad un evento molto importante con la Regione Lazio sui 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. L’evento pubblico si terrà nel nostro parco e sarà incentrato sul tema della follia nel Sommo Poeta. Voglio infine ricordare che sul nostro sito, www.museodellamente.it, è possibile trovare tutte le informazioni relative alle attività dello spazio museale”. Franco Basaglia diceva che ‘la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia’. Il museo laboratorio della mente di Roma e quanti vi lavorano con passione e dedizione lo hanno certamente fatto, assicurando dignità e riscatto a chi, come cantava De André, ‘senza sapere a chi dovessi la vita, in un manicomio io l’ho restituita… qui nella penombra ora invento parole, ma rimpiango una luce, la luce del sole’.

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