
NAPOLI – Napoli era uno dei centri nevralgici della rete che Anis Amri, il killer di Berlino, aveva in Italia. A Napoli vivevano due delle 5 persone raggiunte da un mandato di cattura dopo una vasta operazione antiterrorismo condotta oggi a Roma: Akram Baazaoui e Dhiaddine Baazaoui, entrambi residenti nella zona vicina alla stazione centrale di piazza Garibaldi. Altri due, Mohamed e Rabie Baazaoui, vivono rispettivamente a Villa di Briano e Casal di Principe, in provincia di Caserta.
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Sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione dei documenti e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Proprio a Napoli c’era una centrale dei documenti falsi che venivano smistati tra i tunisini arrivati in Italia e diretti verso altri Paesi d’Europa.
Il tutto era coordinato da un’associazione “estesa e ben organizzata, gestita in maniera professionale”, scrive il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei cinque arabi.
Per la procura, il gruppo aveva un referente per i documenti falsi, il 31enne Akram Baazaoui, che portava avanti l’attività insieme al “cugino” Mohamed, 52enne tunisino. Insieme, avevano individuato anche un modus operandi, ricostruibile dalle intercettazioni contenute nell’ordinanza: dopo un primo passaparola, spesso per via telefonica, si chiedeva di inviare sulla chat di Facebook o su Whatsapp fotografie e dati anagrafici. Poi, attraverso note agenzie per il trasferimento di denaro, avveniva lo scambio dei soldi richiesti secondo un preciso tariffario.
In particolare, così come ricostruito grazie alle intercettazioni, Mohamed Baazaoui faceva uso di uno pseudonimo su Facebook “Momo Napoli” per l’invio di dettagli ai ‘clienti’ e la ricezione di foto e dati tramite Messanger. Il profilo ha come foto l’immagine “di una bambina con la maglietta blu“, spiega Mohamed Baazaoui ad un cliente tunisino che gli chiedeva dei documenti falsi.
Per gli investigatori, il gruppo era in grado di avere notizie sugli sbarchi in Italia grazie a un collegamento diretto con una cellula del Nord Africa, avere contatti con chi sbarcava fino a predisporre gli alloggi dove accoglierli per il tempo necessario alla contraffazione dei documenti e organizzare il viaggio in altri Paesi europei.
Un’intercettazione del gennaio 2018 di una telefonata tra Akram, Rabie e Dhia mostra “chiaramente gli affari illeciti gestiti dal gruppo” e il tariffario richiesto: per delle “carta” (verosimilmente carte d’identità, scrive il Gip) italiane il prezzo era di 100 euro; 150 per quelle francesi. Ma si applicavano anche degli sconti se venivano richiesti più documenti (“se ne fa due, costa 250 euro”). Spesso si chiedeva un pagamento anticipato “per evitare il rischio che la persona, una volta ricevuti i documenti per essere messo in regola, scomparisse senza pagare”.

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