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Giada Giunti non vede il figlio da sette mesi: “Nemmeno ai boss si nega questo”

Il bimbo portato in casa famiglia. La criminologa: "Da diversi anni ormai si finisce in un'inquisizione dei comportamenti materni"

Pubblicato:29-01-2020 13:15
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:55
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ROMA – È  il 15 dicembre 2016 quando il figlio di Giada Giunti viene prelevato da scuola e portato in una casa famiglia. È un tema sul rispetto, scritto proprio dal piccolo G., “portato via come un criminale” dice sua madre, che allora aveva 10 anni, a ricordare quei momenti di paura: ‘La poliziotta mi ha cominciato a dire che mi dovevano portare via senza che mia madre lo sapesse, mi sono messo a piangere perché non volevo andare in casa famiglia’”. Giada è una donna esile. Arriva nella redazione dell’agenzia Dire con i faldoni di quello che definisce “un calvario giudiziario” ed è un’altra mamma che due CTU, una del 2013 e una seconda del 2016, hanno definito “simbiotica”, capace di tenere il proprio figlio “in un conflitto di lealtà” e in “una relazione fusionale”. Eppure il “procedimento al Tribunale dei minori- come ha ricordato intervistata per lo speciale ‘Mamme coraggio’– si è aperto – e sembra quasi una beffa per una mamma che ama troppo – per una denuncia di abbandono di minore” al circolo sportivo che il piccolo frequentava assiduamente.

I 450 soci del circolo hanno testimoniato dicendo che non avevo abbandonato mio figlio quel giorno– ha spiegato Giada- e che ero sempre con lui, ma a nulla è valso. Al penale è stato tutto archiviato, ma al Tribunale dei minori è stata emanata l’ordinanza che ci ha fatto precipitare nell’inferno. Non vedo mio figlio da quasi 7 mesi. Sono 4 anni che non lo vedo a Natale, a Capodanno, al compleanno. Non ho mai chiesto che fosse allontanato, non ho fatto nulla e non ero io a stabilire gli incontri protetti, era la CTU. Loro li hanno sospesi perché si trattava di ‘incontri inumani, violenti e deteriorati per tutti e prima di tutto per il bambino’, come ha scritto la seconda CTU e prima ancora gli stessi servizi sociali che dal 2014 chiedevano ‘di intervenire sulle figure adulte e sul conflitto delle figure genitoriali'”. Ma conflitto o violenza? Intanto il risultato è che oggi, come ha detto Giada: “Sento mio figlio ogni settimana per 20 minuti e non posso mandargli nemmeno un regalo“. Il piccolo G. vive presso il padre “con affido esclusivo. La mia responsabilità genitoriale è stata sospesa nel 2015” ha spiegato Giada, ricordando che “le denunce sporte per maltrattamenti e stalking sarebbero state considerate ‘troppe e di pregiudizio per il bambino'”.


Giada infatti ha ripercorso la vita con il padre di suo figlio, la fase di separazione e ha parlato di “violenze che sono avvenute- ha detto- sempre alla presenza di mio figlio”. Pochi giorni fa, venerdì 24 gennaio, si e’ chiusa con l’astensione della giudice Simona Calegari la quarta udienza del procedimento penale per calunnia in corso al Tribunale penale di Roma proprio a carico di Giada, la quale, dopo aver denunciato l’ex marito per aggressione, è stata a sua volta accusata dall’uomo di ‘simulazione del reato’, capo d’imputazione poi trasformato in ‘calunnia‘. “Il 27 luglio del 2017- ha detto Giada- la mia denuncia di violenza e’ stata archiviata”, mentre come ha spiegato il legale della donna, “è stato chiesto per Giada il rinvio a giudizio, per le accuse ricevute, nove mesi prima della fine delle indagini preliminari sull’episodio di aggressione”.

La storia di G. e’ quella di un bambino che non vuole vedere il padre, che chiama “quello”. “Quando l’ho lasciato- ha ricordato Giada- mi aveva minacciato che mi avrebbe tolto il bambino. Dal 2013 l’ha chiesto in atti. Mio figlio era spaventato dal papà e anche dalle minacce di non frequentare lo sport e la vita sociale. ‘O vedi tuo padre o ti allontaniamo da mamma’, ‘O vedi tuo padre o ti togliamo il circolo e lo sport’. Richieste fatte dal tutore e dalla CTU. Mio figlio non ha partecipato alla gita scolastica o alla recita di fine anno per vedere il padre. Gli è stato impedito di vivere la sua vita e in questo stato agli incontri andava malcontento. La stessa CTU ha relazionato ‘cedimenti importanti del padre del bambino durante l’esame testologico che ha evidenziato finanche un disturbo del pensiero'”.

Vale la pena a questo proposito ricordare la recente sentenza Massaro che su questa modalità di incontri e frequentazione dei genitori ha stabilito che “la bigenitorialità non si impone con la forza e il diritto di visita del padre deve adeguarsi agli impegni di sport e vita sociale del bambino”.

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“Faccio questo lavoro dal 2003- ha aggiunto Roberta Sacchi, criminologa e psicologa forense che sta affiancando Giada Giunti in questa battaglia che conta circa “4.500 pagine di atti. Da diversi anni ormai si finisce in un’inquisizione dei comportamenti materni. Ogni comportamento femminile viene posto sotto la lente d’ingrandimento e interpretato in modo sospettoso. L’osservo anche quando sono consulente dei padri. Ho cercato Giada per questo. E’ una tossicodipendente incoercibile? Ha messo in drammatico pericolo il figlio? Perché queste- ha detto- sono le uniche situazioni in cui si provvede ad un’operazione cosi innaturale” come quella che ha subito il piccolo G.. “E’ stata descritta come alienazione parentale o genitoriale, o sindrome di alienazione, simbiosi, conflitto di lealtà tutto quello che indurrebbe paura nei confronti del padre. Nel 99% dei casi si finisce invece per indagare sulla madre. E’ tipico che la CTU dica: ‘Io non mi occupo della questione penale’, come se la paura del bambino fosse aliena da comportamenti discussi in tribunale ad esempio. La Convenzione di Istanbul dice che le parti devono sottoporre al giudice civile e quindi al suo incaricato CTU eventuali condizioni di violenza e quindi pregiudizievoli per il benessere del bambino. Da 2-3 anni inizio a sentire dalle donne che non denuncerebbero mai più. Questa è la ragione per cui ho cercato Giada”.

“Mio figlio ha scritto a tutti, al giudice, anche a Papa Francesco- ha detto Giada- Era in casa famiglia e voleva tornare a casa dalla mamma, nel suo ambiente. Colpevolizzava ‘quello’, come ha sempre chiamato il padre. L’ultima sentenza è stata fatta sulla base delle relazioni dei servizi sociali. Mio figlio ha sempre chiesto di tornare a casa da me. E’ stato isolato da tutti, gli è stato sequestrato il cellulare- ha sottolineato Giada- e da quel momento in poi i servizi sociali hanno relazionato che voleva vivere con il mio ex marito. Hanno detto che ho con mio figlio un rapporto fusionale, parassitante e che devo rimanere a regime protetto di incontri 1 ora ogni 15 giorni alla presenza di un’educatrice. Ma questa cosa non è mai accaduta e non so perché, sono 7 mesi che non lo vedo e in questi ultimi 3 anni, quando era in Toscana presso mia madre, ho fatto 800 chilometri per vederlo un’ora ogni 15 giorni. Ma per mio figlio ne avrei fatti miliardi“.

Giada non si è arresa: “Abbiamo proposto appello e depositato provvedimenti d’urgenza e sono stati tutti rigettati, anche la richiesta di anticipo d’ udienza, è stato tutto rifiutato e ignorato. Anche il fatto che il padre di G. gli somministrasse cibo con glutine, pur essendo mio figlio celiaco“. Tutto ignorato, anche le “33 richieste di conciliazione proposte” da Giada che ha spiegato: “Nonostante avessi subito violenza ho scritto al padre di mio figlio, alla Corte d’Appello, e l’ho fatto perché sono 9 anni che questo bambino viene sottoposto al dolore più grande. Avevo chiesto che lui lo vedesse tutti i giorni. Ma mentre io lo chiedevo, dall’altra parte c’era silenzio o si depositavano atti contro di me”. La prossima udienza è a marzo. “Non ci sono psicopatologie e non c’è ne è stata mai alcuna che possa far considerare Giada inabile a fare il genitore. Nemmeno ai boss di mafia- ha concluso la criminologa- si nega l’incontro con i propri familiari“.

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