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Cafà (Fonarcom): “Il reddito di cittadinanza è giusto, ma ci sono rischi da evitare”

Il presidente di Fonarcom intervistato in occasione del seminario promosso su 'L'evoluzione del lavoro oggi tra flessibilità e precariato'.

Pubblicato:28-11-2018 15:03
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:50

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“Il reddito di cittadinanza è un’iniziativa lodevole è condivisibile perché lo Stato e le imprese devono stare vicini a chi è in difficoltà, ma bisogna trasformarlo in una politica attiva“, Lo sottolinea Andrea Cafa’, presidente di Fonarcom, in occasione del seminario su ‘L’Evoluzione del lavoro oggi tra flessibilita’ e precariato’.

La misura che il governo intende avviate dall’anno prossimo è “una sfida- osserva interpellato dalla ‘Dire’- che dobbiamo cogliere, ma rischia di diventare un sussidio e in alcune regioni c’è il rischio che sia un incentivo non cercare il lavoro”. La proposta lanciata oggi è “quella di immaginare che il reddito di cittadinanza venga accordato a persone che sono disponibili a fare un percorso di formazione in azienda, che può andare va dai 6 ai 12 mesi e le aziende, socialmente responsabili, potrebbero dare un contributo, finanziando il 50% del sussidio. Avremmo così diversi vantaggi: non annoiamo le persone che ricevono la tutela, creiamo una politica attiva e rivediamo il budget del reddito di cittadinanza che, grazie al contributo delle imprese, potrebbe permetterci di ampliare la propria platea. Questa potrebbe essere una sfida interessante”. Secondo Cafà è giusto investire nei centri per l’impiego ma “serve una sinergia tra pubblico e privato: i centri per l’impiego potrebbero ‘profilare’ la persona e poi potrebbero scendere in campo le agenzie per il lavoro, che sanno incrociare domanda e offerta di lavoro”.


https://youtu.be/UcuWqlJ62Dg

Lavoro, Cafà: “I fondi interprofessionali funzionano”

“I fondi interprofessionali funzionano. Possiamo fare di piu’ e meglio ma e’ gia’ tutta un’altra cosa rispetto al passato”,spiega Cafa’. Per Cafa’ “la formazione deve andare di pari passo con i tempi delle imprese e di chi deve acquisire i compiti competenze richieste. Un tempo la formazione continua era finanziata principalmente dalla legge 236 e tra avvisi, condivisione dei piani, approvazione, ricorsi le Regioni approvavano i piani formativi, nella migliore delle ipotesi, in 8-9 mesi e a quel punto le esigenze formative era cambiate”. Poi, ricorda il presidente, “nel 2000 la legge ha affidato la materia ad organismi ad hoc, che hanno al loro interno rappresentanti delle imprese e dei lavoratori: in una decina di anni i fondi interprofessionali hanno dato risposte importanti. Ora si approvano i piani formativi anche in 20 giorni. Un milione di imprese hanno aderito ai fondi, 10 milioni e mezzo di lavoratori fanno parte di questo sistema e nel 2016- conclude Cafa’- 70 mila imprese hanno fatto formazione con i fondi interprofessionali”.

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