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Lo sfogo di mamma N.: “Il Comune vuole dare il mio indirizzo al mio ex sotto processo”

Il caso in Emilia-Romagna. "Poi ci si stupisce che veniamo uccise dopo aver denunciato"

Pubblicato:28-10-2021 09:31
Ultimo aggiornamento:28-10-2021 09:31
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VIOLENZA DONNE_BRASILE -min
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ROMA – “Ci invii il procedimento da cui si evince che il padre non può conoscere la nuova residenza e che ha perso la responsabilità genitoriale”. A scrivere questa secca mail a N., giovane donna camerunense, e mamma di un bimbo di 5 anni, è l’ufficio anagrafe di un Comune dell’Emilia Romagna. L’uomo in questione, padre del minore ed ex compagno di N., ha in corso un procedimento penale per maltrattamenti e violenza assistita e “l’ultima udienza- come la donna racconta spaventata alla Dire- ci sarà a novembre. Io ho paura per me e mio figlio, ho l’affido esclusivo e ho paura di cosa possa succedermi. Ma come si fa a dovere comunicare a un uomo che ha questo penale la mia residenza? Vuol dire dargli le chiavi di casa…”, si sfoga sgomenta. “Se non fossi una donna impegnata nel sociale, con delle competenze, e se non avessi mobilitato persone che lavorano al fianco di donne e bambini vittime di violenza, oggi mi troverei in pericolo”. N. infatti, che come attivista lavora con centri antiviolenza e case rifugio, ha chiesto aiuto e per lei e suo figlio “è intervenuta Alessandra Davide, la presidente dell’associazione Trama di terre che lavora con le donne, native e migranti, sopravvissute alla violenza e richiedenti asilo, e successivamente- spiega- la rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re e il centro antiviolenza Roberta Lanzino”.

Anche i legali di N. in risposta a quella mail avevano segnalato il rischio che quella comunicazione avrebbe rappresentato per mamma e bambino. “In Calabria, dove stavo prima, alla luce di questa situazione nessuno mi ha mai detto di dovere informare il padre. E’ così che le donne vengono lasciate agli assassini, e poi ci stupiamo quando leggiamo che sono state ammazzate, o i loro figli“, ripete N. nel corso dell’intervista. Nel decreto di affido, che fa riferimento alle visite al bambino durante il soggiorno della donna in un Istituto di suore, è esplicitato che il padre del minore “manifesta l’incapacità di accantonare le ragioni del conflitto e pacificare lo stato di tensione, sintomatica della sua inidoneità ad affrontare le maggiori responsabilità dell’affido condiviso che contrasta con l’interesse del minore”. E’ in virtù di questo che il Tribunale ordinario di Cosenza stabilisce a febbraio 2020 i diritti di visita padre-figlio, decide per l’affido esclusivo alla madre e condanna l’uomo al pagamento delle spese processuali. “Il padre è sparito, il bambino inoltre ha paura di vederlo e a lui del piccolo non interessa– incalza N.- ha sempre usato violenza psicologica e dopo la nascita del bambino è passato a quella fisica. A lui interesso io. Mi domando- conclude N. pensando ad altre donne magari con meno rete di protezione e contatti rispetto a lei- come sia possibile che una donna e un figlio ancora oggi, in Italia, dopo delle denunce, siano ‘consegnati’ in questo modo ad un uomo che ha in piedi un procedimento penale per violenza”. 


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