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Egitto, Amnesty international: “Con Al-Sisi superata linea rossa abusi”

La denuncia di Amnesty: "Abusi fuori controllo in Egitto e anche i media hanno subito un processo di 'sisificazione'"

Pubblicato:28-10-2020 17:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:08

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ROMA – “L’Egitto, dalla sua indipendenza nel 1956, non ha mai avuto un momento di pace. Quasi ogni famiglia conta un parente arrestato o scomparso a causa dei regimi. Ma con l’avvento del presidente Abdel Fattah Al-Sisi la situazione è peggiorata: se prima esisteva una linea rossa che nessuno superava e una certa libertà d’informazione, oggi quella linea non esiste più, ogni violazione o abuso è concesso. Quanto ai media, hanno subito un processo di ‘sisificazione’ diventando megafono del governo”. Lo ha detto il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, intervenendo al webinar ‘Da Mubarak ad Al-Sisi: Il destino degli attivisti in Egitto’.

Noury ha denunciato che dal 2013 “sono aumentati esponenzialmente i detenuti di coscienza, vale a dire attivisti, giornalisti o intellettuali ‘etichettati’ come terroristi islamisti dalla stampa filogovernativa”. Un tipo di stampa che è ormai prevalente, ha riferito il portavoce, grazie alle “all’acquisto, proposto con ingenti somme di denaro, da parte di esponenti delle forze armate vicini al generale Al-Sisi”. Proposte a cui “testate ed emittenti, soprattutto indipendenti, non hanno potuto opporsi sia per oggettive difficoltà economiche sia perché hanno subito minacce”.

La “‘sisificazione’ della stampa” e la “creazione del nemico” che ne deriva, ha continuato Noury, servono a “motivare gli abusi, gli arresti o le detenzioni arbitrarie. Nel caso di Patrick Zaki ad esempio, la tesi del terrorista islamista non si poteva perseguire dal momento che lo studente appartiene a una famiglia copto-cristiana. Ecco perché è stato denigrato in quanto difensore dei diritti degli omosessuali”, in una società che considera l’omosessualità “immorale”.


Il risultato, ha avvertito Noury, è che gli egiziani “vivono nell’angoscia di non sapere cosa sarà del loro futuro, sempre timorosi di vedere agenti di polizia arrivare nel cuore della notte a portarli via per reati illegali o indefiniti. Può capitare che due giornalisti scrivano la stessa cosa, ma solo uno dei due venga incriminato per il suo lavoro”, gettando le persone “nello sconforto di non capire cosa poter fare o meno”. Alla luce di queste violazioni il portavoce di Amnesty ha fatto nuovamente appello a una presa di posizione forte da parte dell’Italia: “Il nostro Paese è quello che ha maggiore influenza sull’Egitto. Bisogna richiamare l’ambasciatore Giampaolo Cantini per dargli istruzioni nuove sulla politica da perseguire al Cairo, frutto di una strategia chiara e ragionata”, in modo da fare pressione “sul caso Regeni, ma anche sul caso Zaki e delle migliaia di detenuti egiziani”. Noury è intervenuto al webinar organizzato da Amnesty International – Gruppo universitario Bologna in occasione delle Giornate dell’attivismo di Amnesty, dal 27 al 30 ottobre.

BRANDONI (STUDENTI BOLOGNA): SUL CASO ZAKI POCO ASCOLTATI

egitto_amnesty“Noi universitari di Bologna ci siamo subito attivati per la liberazione del nostro collega, Patrick Zaki, e con noi anche studenti di altri atenei italiani ed europei. Purtroppo la sensazione è che non veniamo ascoltati abbastanza. Questo non deve fermarci: la mobilitazione deve continuare, altrimenti non potremo poi lamentarci se il nostro governo o l’Unione Europea non fanno abbastanza“. Così Domitilla Brandoni, dell’Associazione dottorandi in Italia (Adi) di Bologna, intervenuta al webinar ‘Da Mubarak ad Al-Sisi: Il destino degli attivisti in Egitto’.

Brandoni ha ricordato il caso dello studente egiziano arrestato al Cairo a febbraio, mentre rientrava da Bologna, dove frequentava il primo anno di un master alla ‘Alma Mater Studiorum’, e ancora in stato di detenzione cautelare. Brandoni ha continuato: “Sentiamo spesso i politici dire che se Zaki fosse uno studente italiano, sarebbe più semplice ottenere la sua scarcerazione. Ma dopo i pochi progressi fatti sul caso Regeni, le falsità e i depistaggi da parte dell’Egitto, non credo che ci possiamo permettere questa affermazione”.

L’esponente dei dottorandi in Italia quindi osserva: “Dal punto di vista legale, Zaki è egiziano e questo certamente pone degli ostacoli. Ma proprio perché conosciamo le violazioni che il regime egiziano compie sui diritti umani delle persone non possiamo smettere di occuparci di Patrick”. Altrimenti, ha concluso Brandoni, “rischiamo che il concetto di umanità coincida – e termini – coi confini nazionali”.

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