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ROMA – “L’amiloidosi non è una malattia incurabile, non è una patologia così rara e non è difficile da diagnosticare. Credo che le affermazioni di Oliviero Toscani abbiano un senso apotropaico. Nel messaggio che gli ho inviato dopo aver letto la sua intervista gli ho scritto che ‘è un privilegio averti conosciuto ma la tua malattia non è incurabile. Finchè te lo dico io, non hai bisogno di Cappato’. C’è però da dire che una malattia del genere, specialmente quando arriva tardi alla diagnosi, è un impegno significativo per il paziente. E, come diceva Seneca, ‘senectus ipsa est morbus’, ovvero ‘la vecchiaia di per sè è una malattia‘”. Lo chiarisce all’agenzia Dire Michele Emdin, professore di Cardiologia alla Scuola Sant’Anna di Pisa e direttore del dipartimento Cardiotoracico della Fondazione Monasterio, medico di Pisa che ha diagnosticato l’amiloidosi a Oliviero Toscani. Oggi, sulle pagine del Corriere della Sera, l’82enne fotografo milanese ha raccontato la sua malattia definendola “incurabile”, di avere perso 40 chili in un anno, di non sapere quanto tempo gli rimanga da vivere e di voler chiamare quello che definisce “il mio amico Cappato”.
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L’amiloidosi, dunque, oggi non fa più paura. “Fortunatamente- prosegue Michele Emdin- negli ultimi anni vi sono stati avanzamenti nelle conoscenze mediche a cui il nostro centro della Fondazione Monasterio ha direttamente contribuito, in cui è stata definita meglio l’epidemiologia dell’amiloidosi, sono stati trovati strumenti diagnostici estremamente efficaci e si è fatta un’opera di formazione nei confronti dei medici proprio al fine di rendere più precoce la diagnosi che, purtroppo negli anni, proprio a causa della mancata consapevolezza dei termini del problema era ritardata, determinando conseguenze nefaste per il paziente”.
“L’amiloidosi- spiega l’esperto- è una malattia che comporta l’infiltrazione all’interno di cuore, reni e fegato, ma anche di altri organi, di proteine amiloidi, ovvero fibrille che derivano dall’impilamento di proteine mal ripiegate”.
Il professore precisa che “le principali forme di amiloidosi sono due: la prima è quella da catene leggere, collegate con la malattia del sangue, ovvero mieloma e mieloma asintomatico, il cosiddetto ‘smoldering mieloma’. La seconda forma, quella che ha colpito Oliviero Toscani, è l’amiloidosi da transtiretina, una proteina che normalmente serve per portare la vitamina A e l’ormone tiroideo in giro per l’organismo e che, nella forma senile, o ‘wild type’, forma fibrille amiloidi che vanno a depositarsi nel cuore, organo la cui morfologia e funzione di pompa viene alterata, creando la conseguenza di andare incontro a uno scompenso cardiaco“.
“Scompenso cardiaco- evidenzia Emdin- che il paziente ha ricordato proprio nella sua intervista: il fiato corto, l’affaticabilità, l’astenia e gli edemi alle caviglie, senza dimenticare le aritmie come la fibrillazione atriale. Ci sono poi forme geneticamente determinate che fanno la propria comparsa non a 80 anni ma più precocemente, intorno ai 50-60 anni”.
Oggi, dunque, la malattia annunciata da Oliviero Toscani si cura. “Vi sono farmaci disponibili– aggiunge- che bloccano la progressione, e farmaci, alcuni dei quali sono in fase di sperimentazione, che estraggono l’amiloide depositata nell’organo o addirittura bloccano la trascrizione genica della proteina alterata. Siamo davvero in presenza di un rigoglio della ricerca scientifica in questo ambito“.
“Un rigoglio nella ricerca non solo verso il trattamento- dice ancora – ma anche un’attività estremamente efficace nell’identificare nuovi strumenti diagnostici e, soprattutto, da alcuni anni c’è un’attività da parte nostra nell’insegnare quali sono gli antecedenti di questa malattia, quelli che identifichiamo come ‘red flags’, bandierine rosse, ovvero la presenza, alcuni anni prima, di sindrome del tunnel carpale bilaterale, stenosi del canale midollare, rottura del capolungo del bicipite del braccio, oltre all’intervento di protesi di ginocchio e di anca: in presenza di queste condizioni bisogna stare attenti, perché è lì che l’amiloide inizia a depositarsi, provocando queste alterazioni e una neuropatia periferica“.
Nei centri di Pavia, Bologna e Pisa, oltre a un network italiano che unisce strutture che si interessano di amiloidosi, si è sviluppata la capacità di diagnosticare e curare questo tipo di malattia. Il centro di riferimento di Pisa, l’ospedale Fondazione Monasterio, riceve e cura pazienti di tutta la Toscana e può fare affidamento su un percorso diagnostico-terapeutico guidato dal dottor Giuseppe Vergaro, ricercatore universitario presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e cardiologo presso la Fondazione Monasterio, che gestisce un team formato da cardiologi, infermieri, psicologi e fisioterapisti, perché l’amiloidosi è una patologia sistemica che richiede un approccio multidisciplinare.
“Purtroppo- informa il professor Emdin- fino a poco tempo fa i pazienti andavano incontro a numerose valutazioni, ambulatoriali e legate al ricovero per scompenso, senza il riconoscimento della diagnosi. L’aumento della consapevolezza, ovvero la ‘clinical awareness’, e la conoscenza degli strumenti diagnostici e delle ‘red flags’ consentono oggi di precocizzare il trattamento. Noi anticipiamo le terapie del futuro: se c’è un nuova terapia, un farmaco in fase 2, come nel caso di Toscani, o in fase 3, siamo in grado di darlo al paziente anni prima che esca sul mercato, nella forma di una sperimentazione”.
“Voglio inoltre ricordare- le parole del professore di Cardiologia alla Scuola Sant’Anna di Pisa e direttore del dipartimento Cardiotoracico della Fondazione Monasterio- che, insieme ai medici di medicina generale del territorio pisano, abbiamo condotto il primo studio di screening mondiale di popolazione per valutare la reale valenza epidemiologica, che è pari allo 0,5% dei soggetti asintomatici superiore ai 65 anni, una percentuale più alta di quella di una malattia rara. La ricerca è stata poi pubblicata su un’importante rivista cardiologica europea”.
Un numero esatto di pazienti colpiti da amiloidosi, dunque, in Italia non è noto, “ma- afferma Michele Emdin- dal 10 al 15% di accessi in Pronto soccorso per scompenso cardiaco sono legati a questa malattia, il 20% delle autopsie nelle persone anziane dimostra che esiste questa patologia e il 10% degli interventi sulla valvola aortica riconosce la presenza di amiloidosi“.
A quale età fa la propria comparsa questa terribile patologia? “Quella da transtiretina- risponde il cardiologo- ha una forma mutata geneticamente che colpisce poche famiglie, con cluster regionali nel Mugello, in Sicilia, a Messina, e in Piemonte e in questi casi la malattia si manifesta verso la quarta-quinta decade. Poi c’è la forma ‘wild type’, non geneticamente determinata, chiamata amiloidosi senile e fino ad ora l’età media della diagnosi è compresa tra i 75 e gli 80 anni”.
“Ma- conclude- con una diagnosi precoce siamo in grado di prenderci cura di pazienti che hanno anche 60 anni“.
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