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ROMA – Oliviero Toscani ha una malattia incurabile, l’amiloidosi. A rivelarlo è lo stesso fotografo in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. “In pratica le proteine si depositano su certi punti vitali e bloccano il corpo. E si muore. Non c’è cura”, spiega. La scoperta è arrivata un anno fa: “Alla fine di giugno mi sono svegliato con le gambe gonfie, ero in Val d’Orcia. Ho cominciato a fare fatica a camminare. All’ospedale mi hanno diagnosticato un problema al cuore. A fine agosto sono andato a Pisa al Santa Chiara e da lì al Cisanello, dove avevamo deciso la data dell’operazione al cuore, intorno al 20 settembre”.
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“È venuto a trovarmi il mio amico Francesco Merlo con suo cugino, cardiologo al Giovanni XXIII di Bergamo: un medico incredibile. Mi ha fatto andare su da loro per altri esami e hanno subito chiamato il dottor Michele Emdin a Pisa, specializzato nella malattia che pensavano avessi: l’amiloidosi”. Così è arrivata la vera diagnosi.
L’82enne sta provando “una cura sperimentale, faccio da cavia”. E racconta: “A ottobre ho anche preso una polmonite virale e il Covid, mi hanno tirato per i capelli. Penso di essere stato anche morto, per qualche minuto: ricordo una cosa astratta di colori un po’ psichedelici. Quando sto male e ho la febbre riesco a immaginare cose fantastiche… In un anno ho perso 40 chili. Neppure il vino riesco più a bere: il sapore è alterato dai medicinali“.
“No, non ho paura (di morire, ndr)- dice Olivieri rispondendo alla domande delle domande-. Basta che non faccia male. E poi ho vissuto troppo e troppo bene, sono viziatissimo. Non ho mai avuto un padrone, uno stipendio, sono sempre stato libero”.
E aggiunge: “Sono stato particolarmente privilegiato e fortunato, lo dico veramente. Già essere nato dove sono nato, con la famiglia che ho avuto, laica e libera. Poi ho avuto due sorelle maggiori super. Marirosa, in particolare, che è mancata lo scorso anno: aveva 11 anni più di me, è stato come avere una mamma giovanissima. Era un’artista, all’avanguardia, mi ha molto segnato. Anche Brunella, eh”.
Quanto gli resta? “Non si sa. Certo che vivere così non mi interessa. Bisogna che chiami il mio amico Cappato, lo conosco da quando era un ragazzo. Ogni tanto mi vien voglia. Gliel’ho detto già una volta e lui mi ha chiesto se sono scemo”.
Non c’è una fotografia particolare per la quale Olivieri vuole essere ricordato. Sicuramente “per l’insieme, per l’impegno. Non è un’immagine che ti fa la storia, è una scelta etica, estetica, politica da fare con il proprio lavoro”. Di quale è più orgoglioso? “Non sono orgoglioso di natura, perché tutto potrebbe essere fatto meglio. Forse tengo molto al lavoro a Sant’Anna di Stazzema”.
“Sto vivendo un’altra vita – spiega – Vengo da una generazione, quella di Bob Dylan, dove eravamo forever young, il pensiero di invecchiare proprio non c’era. Fino al giorno prima di essere così, lavoravo come se avessi 30 anni. Poi una mattina mi sono svegliato e all’improvviso ne avevo 80″.
Nella nuova quotidianità, Olivieri ha trovato un equilibrio: “Leggo, guardo in tv l’Inter e certe squadre inglesi. E poi c’è Sinner, che mi dà sollievo nella vita. Ora sono tutti gelosi e invidiosi di lui: tipico degli italiani. Imparerà presto chi sono i veri amici e chi no”. Ha ancora voglia di prendere la macchina fotografica in mano? “No, mi sono liberato di tutto. È questa la bellezza”.
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