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A Gulu arrivano i kit alimentari di Afron per le pazienti oncologiche

L'infermiera Beatrice Agik spiega come il cibo, insieme al sostegno psicologico, sia "fondamentale mentre si combatte contro il cancro e il Covid"

Pubblicato:28-06-2021 19:12
Ultimo aggiornamento:29-06-2021 09:56
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GULU (UGANDA) – “Sono tante le sfide che affrontiamo durante le visite alle pazienti ricoverate in ospedale. Di solito arriviamo a mani vuote ma grazie ai kit offerti da Afron – Oncologia per l’Africa Onlus, potremo dare loro del cibo, oltre al sostegno psicologico. Nutrirsi mentre si combatte la battaglia contro il cancro e il Covid-19 è fondamentale“. A parlare con l’agenzia Dire è Beatrice Agik, infermiera presso l’Università di Gulu e coordinatrice della sezione locale di Uganda Women’s Cancer Support Organisation (Uwcaso), un’associazione composta da donne sopravvissute al cancro che ora mettono tempo ed energie a disposizione delle altre pazienti.

In questa regione nel nord dell’Uganda, dieci volontarie Uwocaso sono state formate nell’ambito del progetto ‘I survived. We will survive’ al St. Mary Lacor Hospital di Gulu grazie all’iniziativa di Afron e di Uwocaso-Kampala. Ora Afron, onlus istituita in Italia nel 2010, ha deciso di inviare per le donne affette da tumori decine di kit di sostegno contenenti cibo, ma anche abiti e presidi anti-Covid. Un’iniziativa in collaborazione con l’ospedale e Uwocaso e che ha goduto del sostegno della Tavola Valdese.

Agik dice: “La onlus Afron è intervenuta tempestivamente nella nostra battaglia contro la pandemia: ci sono pazienti oncologiche in cura che non hanno né il cibo né gli strumenti per proteggersi dal Covid”. E la pandemia preoccupa: “Molte donne hanno paura di andare al mercato, temono di restare contagiate tramite i soldi, ma ormai le famiglie sono responsabili e prendono sul serio le norme di prevenzione”.


L’infermiera evidenzia come i vaccini siano una sfida: “Io ho già ricevuto al prima dose di AstraZeneca, dato che sono considerata categoria prioritaria, ma nel gruppo di volontarie solo tre di noi l’hanno ricevuta”.

Essere una “counsellor” in questo contesto non è quindi semplice: “Attraverso il Lacor Hospital siamo già riuscite a incontrare 80 donne, sia ricoverate che fuori dell’ospedale. Lasciamo loro i nostri contatti e ci telefonano spesso. Io ricevo in media due o tre chiamate al giorno”.

Il lavoro delle “counsellor” consiste anche nell’incoraggiare le donne a tornare in ospedale per le cure o le visite di controllo: “Raggiungiamo le comunità entro un raggio di 7-10 chilometri, perché il Lacor è punto di riferimento per il nord dell’Uganda. Molte donne sono paralizzate dalla paura, vivono la malattia come una condanna a morte. Parliamo con loro, con le famiglie, coi medici. Spesso andiamo direttamente nelle case delle pazienti ma cerchiamo di incontrarle in gruppo”.

Un volontariato che le Uwocaso portano avanti con “risorse nostre” sottolinea Agik: “Per poterci sostenere economicamente stiamo per avviare un progetto di allevamento di galline, così da avere il denaro almeno per le spese del trasporto”.

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