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Somalia, Osman (Sindacato giornalisti): “I media nel mirino”

Intervista-appello alla 'Dire': "Bene Governo, ma serve una legge"

Pubblicato:28-06-2018 07:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:18

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ROMA – “La Somalia ha bisogno di una nuova legge sui media: la libertà di stampa è ancora sotto attacco. Il disegno di riforma proposto mantiene 16 articoli della legge precedente, che impone un sistema repressivo, in contrasto con i principi costituzionali e il diritto internazionale”. Così all’agenzia ‘Dire’ Omar Faruk Osman, segretario generale del Sindacato dei giornalisti somali, intervistato a margine di una conferenza organizzata a Roma dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi). La Somalia, a febbraio 2017, con l’elezione del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo, ha visto il rinnovo dei vertici di governo. Molti giornalisti incarcerati sono stati liberati, e riaperte le testate costrette alla chiusura. Osman si dice soddisfatto di questo esecutivo, il primo eletto dopo la lunga fase di transizione politica seguita a 20 anni di guerra civile: “Molti dei nuovi ministri sono persone in gamba e stanno implementando molte riforme, per esempio nel settore delle infrastrutture, per far ripartire l’economia”. Resta però il problema dell’impunità: “Personaggi appartenenti al governo precedente sono rimasti al loro posto nei ministeri e nella pubblica amministrazione: si tratta di funzionari accusati non solo di ruberie e corruzione, ma anche di attacchi alla stampa”. Per questo il Sindacato sta guidando una campagna “per chiedere a Farmajo e all’attuale ministro dell’Informazione di cambiare le cose. Soprattutto, vogliamo partecipare alla stesura della nuova legge”. Inoltre si chiede “l’abolizione dei fondi pubblici all’editoria: è un sistema sbagliato, perché consente allo Stato di controllare il lavoro dei giornalisti e applicare la censura”.

I fondi, spiega Osman, vengono attribuiti o revocati in modo discrezionale: “Se un articolo è critico nei confronti del governo, la testata riceve pressioni al punto che il pezzo può essere rimosso e il giornalista licenziato”. Poi c’è il problema del salario minimo: “Non solo in editoria, ma anche negli altri settori il contratto nazionale non è disciplinato. Per questo assieme alle altre sigle stiamo chiedendo di fissare la soglia a 150 dollari al mese. Oggi un cronista prende tra gli 8 e i 20 dollari, un direttore 600″. Infine, il tema della sicurezza: “Mogadiscio è più sicura, ma gli attacchi degli Shabaab non si sono arrestati. Non siamo ai livelli degli anni precedenti – tra il 2000 e il 2016, ben 55 giornalisti hanno perso la vita, stando al Committee to Protect Journalists, ndr – ma nell’ultimo hanno ne sono morti quattro, tre dei quali rimasti uccisi in attacchi bomba”. L’instabilità domina nelle regioni contese del Somaliland e del Puntaland, un terreno caldo anche per i cronisti: “In quelle aree si sono registrati ancora arresti arbitrari, ben sei, mentre due emittenti televisive sono state costrette a chiudere”.

La partita per questo nuovo governo si gioca nei prossimi due anni, secondo il sindacalista. “Si devono adottare le riforme necessarie – dice Osman – prima delle elezioni legislative del 2020 o 2021”. Una di queste riguarda l’indipendenza del potere giudiziario. “Di recente – spiega il segretario generale – il capo della Corte suprema è stato licenziato e sostituito con un giudice di 36 anni. Si tratta di una persona senza esperienza, che non ha prestato servizio neanche nei tribunali provinciali. Inoltre non conosce l’italiano, lingua in cui sono scritte molte nostre leggi: come può amministrare la giustizia se non conosce le leggi?”. All’agenzia ‘Dire’ Osman ricorda: “La Somalia è collassata proprio a causa delle ingiustizie e delle violazioni dei diritti umani. Un sistema giudiziario forte, indipendente e credibile è cruciale in questo momento storico, affinché ottenga la fiducia delle persone e si vada verso la stabilizzazione definitiva del Paese”.


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