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Quindici anni senza Lorenzo Necci, il ricordo della figlia: “Un visionario finito nel tritacarne giudiziario”

"La sua storia è la tragedia del potere e di un Paese che fatica a valorizzare, ad approvare il merito e non perdona il successo meritato"

Pubblicato:28-05-2021 13:56
Ultimo aggiornamento:28-05-2021 13:56
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alessandra e lorenzo necci
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ROMA – “Le città come motore del mondo, al pari delle agorà greche”, “le infrastrutture materiali e immateriali come collante della civiltà”, “la visione del futuro e la difesa del sistema Paese”. Lorenzo Necci, manager pubblico “umanista” di “un’altra Italia”, a 15 anni dalla morte, ha ancora una lezione attualissima da dare. Sua figlia, la storica Alessandra Necci, ha ripercorso per la Dire nell’anniversario della morte la sua biografia e i traguardi di un manager pubblico “lungimirante e geniale che proveniva da una famiglia semplice ed era riuscito a diventare ‘il Magnifico” (come lo chiamavano negli anni dell’apogeo) grazie allo studio, il talento, la tenacia, il gusto del progetto e della sfida”. “Visionario” come alcuni suoi amici lo chiamavano, già negli Anni 80 aveva prefigurato lo scenario della globalizzazione e l’avvento di una Cina potente. Ma prima di ogni opera di carriera quella di Lorenzo Necci, morto investito da un’auto il 28 maggio del 2006, è la storia “di un’Italia del merito”. Quel Paese in cui anche i figli di famiglie modeste “nello studio e nella tenacia trovavano il vettore per affermarsi. Quando il merito- come ha ricordato sua figlia- contava più delle appartenenze”. “Nato a luglio del 1939 a Fiuggi- ha raccontato Alessandra Necci- da un ferroviere e una casalinga, è diventato l’uomo che ha ideato la Tav. È rimasto tutta la vita molto legato alla sua famiglia, andavamo sempre a Fiuggi. Si è laureato giovanissimo in giurisprudenza e in scienze politiche ed è diventato uno dei manager più importanti del Paese. Era un umanista, in un’accezione rinascimentale, con interessi poliedrici amplissimi”. Mente della grande industria, “amava cucinare e curare il giardino”. “Ha sempre combattuto per un’Italia trainante nell’Euromediterraneo, per un Paese che non fosse svenduto- come ricorda anche un suo celebre libro ‘L’Italia svenduta’– affinché le infrastrutture, da quelle materiali, da strade, porti e ferrovie, a quelle immateriali come la cultura, fossero difese a 360 gradi”, ha sottolineato Alessandra Necci ricordando l’attualità di questi temi.

Questa fase di crisi post pandemica che stiamo vivendo- ha detto- potrebbe essere prodromica di un nuovo Rinascimento, anzi di un nuovo Umanesimo, come credeva mio padre”. Del resto “mio padre- ha aggiunto- voleva reinventare l’Italia e modernizzarla e fu fermato con le vie giudiziarie, messo in un tritacarne e abbandonato. Gli fu impedito in ogni modo di risalire la china”. C’è infatti nella storia di Lorenzo Necci uno spazio doloroso di “solitudine e dignità” di quella che sua figlia Alessandra non ha esitato a definire “una via crucis: era finito nel ciclone giudiziario mediatico, da cui era uscito con una lunga serie di assoluzioni”.

Proprio poco dopo l’inizio “dell’odissea giudiziaria e dell’arresto del 15 settembre 1996- ha ricordato ancora- scrisse all’allora Presidente della Repubblica Scalfaro. Nel mese di marzo 1997 la Cassazione stabilì la mancanza di gravi indizi di colpevolezza”. “Di area repubblicana, legato a La Malfa e poi a Spadolini, era convinto che ci fosse un’Italia diversa da quella che è venuta fuori. Quella di mio padre- ha detto sua figlia- è la tragedia del potere e di un Paese che fatica a valorizzare, ad approvare il merito e non perdona il successo meritato. Però resta il fatto che sino alla fine ha creduto nella generosità dell’Italia e nei suoi molti talenti. Di lui- ha ricordato Alessandra- resta il ricordo di un uomo capace di guardare al futuro senza mai abbassarsi al compromesso. E se oggi fosse qui, ha detto, “parteciperebbe con passione, interesse e competenza al futuro dell’Italia e dell’Europa. Mio padre era un visionario, un uomo capace di guardare lontano, immaginare l’avvenire. Ha ideato la Tav, che ha cambiato il volto del Paese e la vita di molti cittadini. Aveva in mente un grande progetto infrastrutturale, industriale e politico. Guarderebbe all’Europa, ripensandola” così come aveva nel cuore un’Italia altra, quelle “delle grandi virtù”. “Una persona al telefono qualche giorno fa- ha concluso Alessandra Necci, ricordando suo padre- mi ha detto che mio padre ha contribuito a unire i popoli con le strade ferrate e le infrastrutture e che per questo vivrà sempre”.


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