NEWS:

Sindrome della capanna e movida, lo psichiatra: “Reazioni opposte alla fase 2”

Certezza che i disagi psichici in Fase 2 cominceranno ad emergere, spiega Massimo Di Giannantonio, psichiatra e presidente della Sip

Pubblicato:28-05-2020 12:45
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:24

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – “Non è che oggi abbia tutta questa voglia di uscire. Curioso dopo questo lungo periodo di divieti”. Twitta così, Insopportabile, che inconsapevolmente tira in ballo una delle questioni più calde degli aspetti psicologici emergenti in Fase 2: la ‘sindrome della capanna’. Questa problematica, che “non è una malattia” bensì un nucleo di aspetti “comportamentali e psicopatologici legato a condizioni specifiche”, potrebbe coinvolgere un gran numero di italiani. Basti pensare che, secondo “le stime previsionali” della Società italiana di Psichiatria (Sip), rispetto “ai 900 mila pazienti attualmente in carico presso i Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm)”, vi saranno “nei mesi successivi alla pandemia, circa 300.000 persone in più che si metteranno in contatto con i Dsm, per una serie complessiva di disturbi”. A dichiararlo è Massimo Di Giannantonio, psichiatra e presidente della Sip, intervistato dalla Dire.

Come si spiega allora il crescente fenomeno rilanciato dai media degli assembramenti nelle piazze, dei Navigli pieni fin dal 5 maggio, rispetto a questa sindrome emergente? Di Giannantonio risponde chiaramente: “Possiamo dire che la sindrome della capanna e la movida senza prevenzioni sono due aspetti reattivi a condizioni ambientali, relazionali, sociali o di rischio pandemico, esattamente opposti. Se la movida è rimozione e negazione del rischio pandemico, la sindrome della capanna è una fobizzazione, una costruzione reattiva di tipo fobico, a dei rischi che in maniera sproporzionata vengono vissuti come enormi, pericolosi, incontrollabili”.

Sul punto, il presidente Sip ci tiene però a precisare che “non bisogna estendere la questione in modo arbitrario”, e fornisce un esempio lampante: “Rispetto alla movida, che sia milanese, padovana o palermitana, a 1.000 persone che vanno sui Navigli non corrispondono altrettanti milanesi con la sindrome della capanna, questo è certo”. Approfondendo le radici della problematica, “la sindrome della capanna è una vulnerabilità e una riduzione della motivazione esistenziale in soggetti maggiormente predisposti e colpiti da situazioni di sofferenza, inibizione e difficoltà di resilienza”, puntualizza l’esperto. Basti pensare che “rispetto ai morti per Covid-19, le stime indicano che per ogni morto ci sono almeno 3 componenti del nucleo familiare che hanno dovuto subire un lutto senza assistere il congiunto, senza poter celebrare il funerale- continua- senza poter metabolizzare la perdita. Questo li rende soggetti potenzialmente vulnerabili a un successivo disagio”. La sindrome della capanna non è paura di essere contagiati, “piuttosto è il timore di tornare alla vita di prima”. Tanto che, ricorda lo psichiatra, può interessare “pazienti ricoverati con terapie riabilitative per decenni, che persi i legami familiari vivono l’abbandono del luogo terapeutico con la grave paura di risultare inadatti al reinserimento sociale”. E ancora, può colpire le popolazioni che vivono a latitudini “estreme, nordiche, per le quali l’ambiente geografico e climatologico li costringe a mesi di vita ritirata in ambienti ristretti”. Ciò che è certo è che i disagi psichici in Fase 2, cominceranno ad emergere, “da quanti sono stati costretti a vivere in isolamento per malattia o convalescenza, a chi ha una situazione di solitudine relazionale fino agli operatori sanitari”. La loro condizione, infatti, preoccupa particolarmente l’universo della psichiatria, “sono stati obbligati a turni soprannumerari, hanno esaurito le risorse professionali e vivono con la paura di poter infettare in modo incolpevole i luoghi familiari, i figli, i genitori, i congiunti”, afferma Di Giannantonio.


Per mappare ciò che potrebbe accadere sotto il profilo psichico alla popolazione italiana, si è partiti dunque da un backgroud specifico che riguarda “le situazioni di catastrofe collettiva e le conseguenze sulla salute mentale ad esse connesse”. Stime e valutazione dell’universo psichiatrico stanno quindi venendo rapportate “ai dati e le evidenze successive al distastro nucleare di Chernobyl, come a quello di Fukushima. Ai dati sulla sofferenza psicopatologica complessiva a seguito dei terremoti in Italia, o a ciò che è accaduto alla popolazione statunitense a seguito dell’11 settembre”. Questi sono “tutti modelli di tragedie- conclude lo psichiatra- necessari da considerare per calibrare e tarare gli interventi e le contromisure più opportune” da mettere in atto.

Su Twitter, intanto, la sindrome è arrivata a spopolare, tra ElAiza che chiede: “Ma la avete anche voi?” e Carmen che aggiunge: “C’è da dire però che le indicazioni delle autorità sono piuttosto vaghe”. Poi c’è anche chi ironizza, come Mauro, “almeno abbiate rispetto del vostro mutuo. Magari non sarà una reggia ma manco una capanna”, e Blackmamba che invece non ci sta e cinguetta: “Ahimé sono un uomo molto, molto povero. Ho letto, qui e là, che c’è in giro la sindrome della capanna. E non mi posso permettere nemmeno sta ‘boiata’. Se avessi sostentamento, altro che capanna, una moto e non mi vedete più”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it