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ROMA – Oltre 700 milioni di persone ogni anno nel mondo soffrono di lombalgia cronica, una patologia che è la principale causa di disabilità e morbilità. I costi correlati sono molto elevati: quelli diretti per assistenza sanitaria e indiretti per assenza dal lavoro o ridotta produttività. Una risposta arriva dal progetto di ricerca, premiato dal ministero della Salute, per la lombalgia cronica dell’Università Campus Bio-medico di Roma, ‘Intervertebral disc regeneration mediated by autologous mesenchymal stem/stromal cells intradiscal injection: a phase IIB randomized clinical trial’ che si pone l’obiettivo di valutare l’efficacia del trapianto intradiscale di cellule staminali/stromali mesenchimali autologhe in pazienti con degenerazione del disco intervertebrale. A spiegare la procedura e l’efficacia della metodica all’agenzia Dire è Gianluca Vadalà, ricercatore universitario Uoc Ortopedia dell’Ucbm di Roma.
– Due i progetti attivi presso l’Uoc di Ortopedia dell’Università Campus Bio-medico, ce ne vuole parlare?
“Si tratta di due progetti molto importanti finanziati dal ministero della Salute e dalla Comunità europea che riguardano entrambi il trattamento della lombalgia. Questa patologia è la prima causa di disabilità nel mondo occidentale e ad oggi, purtroppo, non esistono dei trattamenti adeguati tali da garantire un ritorno alla normalità. Il disco, che è un vero e proprio ammortizzatore della schiena, quando si abbassa poiché affetto da un processo degenerativo, produce il dolore tipico del mal di schiena. Con i nostri progetti, quello che stiamo cercando di fare è di rigenerare i ‘dischi’ e fare in modo che ritornino a una situazione di ‘normalità’ restituendo loro la funzione di ammortizzatore. In questo modo cerchiamo, qui al Campus Bio-medico, di curare la lombalgia cronica”.
– Quali sono i vantaggi? Ad esempio si può evitare l’operazione chirurgica e accelerare i tempi di recupero per il paziente?
“Gli attuali sistemi a disposizione per il trattamento della lombalgia sono di tipo farmacologico e fisioterapico. Inoltre, negli stadi più avanzati riscontriamo una degenerazione molto avanzata che arriva a coinvolgere anche le strutture neurologiche che si trovano all’interno della schiena e dei nervi del midollo. Anche in questo caso si procede con un grosso intervento chirurgico di decompressione e stabilizzazione. Grazie ai nostri studi vogliamo evitare dunque una operazione chirurgica anche nelle fasi più avanzate della malattia e avvalendoci di tale trattamento rigenerativo”.
– In cosa consiste questa procedura?
“La procedura è molto semplice. Il paziente candidato a questo trattamento viene sottoposto ad un prelievo di midollo osseo dalla cresta iliaca. Una volta estratto il sangue midollare, questo viene inviato ad un laboratorio specializzato dove le cellule vengono espanse fino ad arrivare ad un numero pari a 20 milioni. Una volta che le cellule raggiungono un numero adeguato vengono inviate nuovamente in ospedale. Il paziente in day surgery viene condotto in una sala operatoria, attrezzata per effettuare una iniezione di queste cellule all’interno del disco, in modo tale da ripristinare la funzione tipica di un disco sano”.
– La riabilitazione in questo processo svolge ancora un ruolo importante?
“La riabilitazione avrà sempre un ruolo di primo piano per ristabilire una postura corretta e preservare la normale fisiologica conformazione della schiena. Molti pazienti lamentano dapprima il mal di schiena, i dischi allora incominciano a degenerare perché la loro postura non è adeguata. La ‘Esse italica’, in questi casi, possiede una forma che non è quella fisiologica ed è solo con la fisioterapia che viene favorito il ritorno alla normalità per il paziente. E’ certo che a seguito di un trattamento rigenerativo una ciclo di riabilitazione è fondamentale perché il disco non si ammali ancora”.
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