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Totti dietro alla scrivania? Occhio alla sindrome del campione

Totti e il giallorosso, una storia d'amore durata 28 anni

Pubblicato:28-05-2017 11:49
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:12

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ROMA – Ventotto anni di Roma. Totti e il giallorosso, una storia d’amore iniziata nei primi Anni 90, decollata nel 1993 grazie all’intuizione di Vujadin Boskov – che lo fece esordire in Serie A ad appena 16 anni – e proseguita d’un fiato fino a oggi, tra numeri, tacchi, titoli e record.

Sono oltre 780 le sue presenze con la maglia della squadra del cuore, l’unica indossata in carriera. Una bandiera come poche altre nel mondo del calcio.

L’INFOGRAFICA


IL SALUTO DEI CAMPIONI

Una ristretta élite di cui fa parte anche Paolo Maldini, rimasto fedele per una vita, una carriera, al Milan. Almeno fino al 2009, quando si congedò dai suoi tifosi con un giro di campo malinconico, e macchiato da qualche polemica di troppo. Quello fu il suo ultimo atto in rossonero. Di lì a poco arrivarono i saluti di Del Piero (2012), che lasciò la Juve con uno scudetto da protagonista, e di Zanetti (2014), argentino naturalizzato interista, capitano dell’Inter del Triplete. Il primo si sentiva ancora calciatore e finì la sua carriera tra Australia e India, il secondo si accomodò dietro una scrivania, diventando il vice-presidente della società.

TOTTI E LA ROMA

E Totti, che farà? Il suo legame con la Roma supera la voglia di calcio giocato, per questo seguirà il volere della dirigenza e farà un passo di lato, andando ad affiancare il nuovo direttore sportivo con l’obiettivo di costruire la squadra del futuro. “Nell’immaginario collettivo Totti è ‘il’ campione. E lui ne è consapevole. Rinunciare a questa etichetta non sarà facile, ma ci tengo a dire che sarà un fuoriclasse anche dopo, qualunque cosa decida di fare”. Queste le parole rilasciate all’agenzia Dire da Antonio De Lucia, presidente dal 2013 della Società italiana di Psicologia dello sport (SIPsiS), che ha parlato del possibile futuro del numero 10 giallorosso.

Ecco l’intervista

– Dottor De Lucia, quanto è difficile smettere per un giocatore del calibro di Totti?

“Può essere un grande shock, ma bisogna dire che è una cosa che capita a tutti i grandi giocatori, di qualunque sport. Quando arrivano a fine carriera in genere si sviluppa una reazione che nel gergo viene chiamata ‘sindrome del campione’. Da essa derivano tutta una serie di comportamenti, di reazioni e rivendicazioni difficili da gestire. Nonostante sia a fine carriera, nel suo caso devo dire che contrariamente ad altri grandi sportivi del passato non vedo questo pericolo. Tutto sommato non è uno che sta facendo polemica. Le reazioni di altri personaggi sono state molto più complesse. Totti è un campione diverso”.

– Quindi lei dice che in questo caso ci saranno meno strascichi?

“Assolutamente sì. Questo succede quando una persona brilla veramente di luce propria. Francesco non deve più dimostrare niente. E in più è un personaggio pubblico: vediamo che in qualunque ambiente si muova, ha successo. Non è amato solo dai tifosi della Roma”.

– Per uno come lui non dovrebbe quindi essere difficile immaginare un futuro lontano dal campo, che sia dietro a una scrivania, un microfono o una telecamera…

“Sanremo lo ha dimostrato: la sua visibilità, lo share, gli applausi e le risate del pubblico in sala. Un trattamento che forse neanche cantanti e attori hanno avuto. Non a caso- continua De Lucia- spesso si sente parlare del ‘fenomeno Totti’. Da sempre è un personaggio pubblico capace di andare oltre il rettangolo di gioco, anche per quello che ha fatto e fa a livello sociale. Senza pubblicizzare, nella maniera più assoluta, questi gesti. Un comportamento tipico di chi si sente sicuro di sé, delle proprie scelte. Ha la percezione di quello che è, senza spavalderia e senza il bisogno di maschere”.

– Non la stupisce la sua difficoltà, anche a parole, di dire ‘basta’?

“Non ci dobbiamo scordare che si sente ancora un calciatore. Per uno del suo calibro mettere un punto, rinunciare a una splendida routine, non è affatto facile. Non lo è stato per nessuno dei ‘grandi’. Ma sarà tale anche senza l’ovazione dell’Olimpico, mentre molti spariscono o diventano degli alienati perché nella vita non hanno avuto quella intelligenza e capacità di costruire altro. Mi viene in mente uno sport come il pugilato, pieno grandi campioni che si sono persi”.

– In queste ultime settimane, a livello psicologico, come deve essere gestita la transizione dal campo alla scrivania?

“Questo è un compito che spetta in primis alla società. Sento varie polemiche tra giornalisti e allenatore, allenatore e tifosi. Ma capisco Spalletti: quando c’è un rapporto indissolubile, come lo è quello tra Totti e i romanisti, non è una cosa facile gestire questo tipo di situazione perché quello che fai, sbagli. L’importante è il ruolo della dirigenza, del nuovo direttore sportivo e del presidente. Dovrebbe essere lui a gestire questo delicato passaggio, dandogli un ruolo importante di rappresentanza. Lui non è solo un giocatore, è qualcosa di più. Di sicuro una bandiera, forse l’ultima, e lo è in una città come Roma, diversa da tutte le altre per amore, affetto e riconoscenza. Molti romani sono cresciuti con lui, e in lui si sono immedesimati. Questo legame simbiotico rende il suo addio molto più difficile. E proprio qui si deve inserire il lavoro della società, che dovrà essere brava a preservare l’uomo ma anche l’atleta. Va rispettato, se lo merita”.

– Sono poche le bandiere che dopo aver aver abbandonato l’attività agonistica sono riusciti ad avere comunque un ruolo importante nella società di appartenenza. Totti ce la farà?

“Molto dipenderà dal suo rapporto con i dirigenti, finora abbastanza freddi nei suoi confronti, specie per come stanno portando avanti il discorso ‘ritiro’. Ma credo che ce la farà, proprio perché si è costruito negli anni una propria e ben definita immagine. Non solo di calciatore ma di uomo di spirito, adatto allo show. Il futuro, anche senza scarpini, è dalla sua parte”.

di Niccolò Gaetani, giornalista professionista

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