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ROMA – “I due genitori sono felici e commossi. Quando li ho sentiti per telefono hanno espresso con grande commozione la loro felicità. È stata una battaglia durata anni, e finalmente vinta”. A parlare all’agenzia di stampa Dire è Domenico Pittella, il legale della coppia lucana che insieme all’avvocato Giampaolo Brienza ha portato la questione alla Corte Costituzionale. Tutto è iniziato quando i due genitori, che avevano già due figli a cui era stato dato il cognome della madre, dopo il matrimonio hanno avuto un terzo figlio, a cui avrebbero voluto dare il cognome materno, come nel caso degli altri. Una richiesta che era stata negata dall’ufficiale di stato civile, spiega Pittella. Di lì, nel 2020, la decisione di fare ricorso, in primo grado rigettato dal Tribunale di Lagonegro. “Successivamente, il nostro reclamo è stato accolto dinanzi alla Corte di Appello di Potenza, che ha rimesso la questione alla Corte”.
Secondo l’avvocato si tratta di una sentenza storica. “Finalmente il nostro Paese ha fatto un passo avanti e superato una grave discriminazione delle donne– commenta Pittella- da questa sentenza della Corte, di cui aspettiamo ancora le motivazioni, emergono due principi: se i genitori sono d’accordo possono attribuire al figlio uno dei due cognomi, anche solo quello materno. Se non sono d’accordo, il figlio prenderà il cognome di entrambi i genitori. Il messaggio che emerge è che il cognome del figlio deve essere frutto di una scelta condivisa dei genitori, solo così si afferma la piena eguaglianza tra i genitori e si tutela il migliore interesse del figlio, che è quello di nascere in una famiglia in un cui regna il principio di parità”.
La pronuncia, di cui occorre attendere le motivazioni rappresenta un risultato storico sottolinea Pittella che ritiene “comunque necessario l’intervento del legislatore per inserire i principi enunciati in un quadro più ampio con la precisazione di alcuni temi connessi”. Tra questi, l’ordine con cui dovranno essere trascritti i cognomi. “Ci sono questioni secondarie da risolvere, ma finalmente abbiamo superato una regola del passato”.
“È stata scritta una sentenza storica che contribuisce a ribadire un cammino avviato nel 2016 e soprattutto restituisce alle figlie e ai figli il diritto alla completezza dell’identità personale. Più specificamente la Consulta, dichiarando illegittime tutte le disposizioni che stabiliscono l’automatismo del cognome paterno, si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori. Si delinea così il percorso di riforma organica in materia di doppio cognome, un tema che da diversi anni vede in prima linea l’associazione Rete per la Parità che punta alla reale attuazione dell’uguaglianza in vari ambiti”. Lo scrive in un commento la giornalista Raffaella Sirena che è tornata sull’argomento intervistando la giurista e presidente di Rete per la parità Rosanna Oliva de Conciliis.
“Questa volta la Corte non si è limitata al petitum– ha sottolineato la presidente Rosanna Oliva de Conciliis – ma ha dichiarato illegittima la norma generale che impone l’attribuzione del solo cognome paterno anziché dei cognomi di entrambi i genitori anche nel caso, che non era stato oggetto della sentenza n. 286 del 2016, dell’assenza di un accordo tra loro. Sull’ordinanza la nostra associazione, insieme a Interclub Zonta Italia, ha presentato una memoria pienamente allineata al risultato odierno. Questa sentenza contempera due esigenze che sembravano di difficile composizione: riconosce a figli e figlie entrambe le origini, materna e paterna, eliminando così la discriminazione contro le madri, ma permette anche scelte diverse ai genitori se di comune accordo. Governo e Parlamento devono ora regolare gli aspetti connessi come la possibilità, nel caso di cognomi composti da più parti, di utilizzarne solo una parte e la trasmissione del cognome alla generazione successiva”.
La presidente Oliva de Conciliis proprio ieri, 26 aprile, ha partecipato al primo ciclo di audizioni in Commissione Giustizia al Senato dove sono oggetto d’esame i sei disegni di legge, denunciando ancora una volta i pesanti ritardi nell’approvazione della riforma del cognome. “All’impegno del Parlamento deve affiancarsi quello del Governo– ha dichiarato la giurista– per individuare una linea d’azione finalizzata ad assicurare una legge in tempi brevi, nonostante la necessità di coinvolgere le amministrazioni a vario titolo interessate, come il ministero della Giustizia e quello dell’Interno”.
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