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Clima, le vigne si spostano in alto. Rischio Torino come Karachi

L'allarme della Società meteorologica italiana: "Se continua così a fine secolo avremo un pianeta più caldo di 5 gradi"

Pubblicato:28-03-2018 10:14
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:41

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ROMA – Si voglia accettarlo o meno i cambiamenti climatici sono in corso e colpiscono già duramente molti settori. Ma questo è solo un assaggio di ciò che dovremo affrontare da qui alla fine del secolo. Impatti gravi su aspetti iconici della cultura e del paesaggio italiano come il settore vitivinicolo. Ecco allora che entro la fine del secolo la geografia del vino “sarà inevitabilmente mutata”.

LE VITI SI SPOSTERANNO IN ALTO DOVE OGGI NON CRESCONO

Oltre a una riduzione delle superfici coltivate a vite ci sarà un’espansione dei vitigni in regioni o fasce altimetriche oggi marginali o inadatte. Le viti andranno più in alto e dove oggi non crescono. Per la viticoltura mondiale si stima un aumento delle quote altimetriche di circa 800 metri e di 650 chilometri di latitudine verso nord. Allarmismo? No, in molte regioni montuose è già partita la “corsa verso l’alto” dei vigneti e Torino rischia di diventare, a fine secolo, come Karachi, la popolosa (e caldissima) città del Pakistan.

“A FINE SECOLO IL PIANETA SARA’ PIU’ CALDO DI 5 GRADI”

Ne parla oggi Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, intervenendo a ‘Vigneti sostenibili per climi insostenibili’, organizzato a Roma dall’Alleanza delle cooperative agroalimentari. In alcune aree si è già passati “da situazioni tipiche del nord Italia a situazioni prossime a quelle della Sicilia”, dice Mercalli, ma visto che l’azione è inefficace “a fine secolo sarà possibile un pianeta 5 gradi più caldo e ciò sarebbe catastrofico”. Ma 5 gradi a livello globale “in Pianura padana e città del nord significa anche avere 8 gradi in più”, e “per il vigneto significa passare da condizioni europee a condizioni africane. Significa il Pakistan in Pianura padana, Torino come Karachi che oggi tocca 54 gradi in estate“, avverte il climatologo. Ma vicino a Forlì, ricorda Mercalli, “si sono toccati i 43 gradi ad agosto già ora”. Tutto ciò, “se dura un giorno per stagione è tollerabile- dice Mercalli- ma se dura un mese è un problema per la vite e per gli esseri umani”.


“ESTATE 2003 PUNTO DI SVOLTA”

L’estate 2003 è stata un punto di svolta“, spiega Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica, in alcune aree si è passati “da situazioni tipiche del nord Italia a situazioni prossime a quelle della Sicilia”. Di questo passo “verso fine secolo avremo aree adatte alla coltura della vite che oggi non lo sono, ad esempio ci sarà un grande areale dell’Europa centro-orientale da sfruttare”, aggiunge. In tutto ciò “il treno dell’Accordo di Parigi lo abbiamo già perso– sottolinea il meteorologo- il Met office Uk dice che già nel 2020 avremo superato gli 1.5 gradi in più rispetto al periodo preindustriale”, quindi “entriamo in un’ area di maggior rischio”.

L’esito di questa inefficacia nelle misure per contrastare i mutamenti è che “a fine secolo sarà possibile un pianeta 5 gradi più caldo e ciò sarebbe catastrofico”, avverte Mercalli.

“Per restare tra +2.5 e +3 gradi servirebbe un rapido intervento, o si rischiano i +5 gradi“, continua, con i quali “entriamo in territori sconosciuti per l’agricoltura“. Però, sottolinea il presidente della società meteorologica italiana.

COOP. AGROALIMENTARI: METEO PIU’ CONSONO PER VENDEMMIA 2018

Per una primissima previsione sulla vendemmia 2018, “la prudenza è d’obbligo” ma “fortunatamente a partire dalla fine di febbraio si sono registrate condizioni meteorologiche più consone a un normale ciclo di sviluppo della vite, con l’abbassamento delle temperature che ha impedito alla vite di risvegliarsi anticipatamente”. Così la coordinatrice Vino dell’Alleanza delle cooperative Agroalimentari Ruenza Santandrea a margine al convegno ‘Vigneti sostenibili per climi insostenibili’ di oggi.

Auspichiamo una vendemmia di quantità superiore allo scorso anno– spiega Santandrea- ma inferiore in ogni caso al raccolto 2016 per effetto di una parziale riduzione della fertilità media indotta dal colpo di calore subito in estate”.

Che il riscaldamento globale stia provocando già effetti importanti sull’agricoltura e in particolare sul comparto del vino lo dimostrano i dati vendemmiali dello scorso anno, spiega l’Alleanza delle cooperative Agroalimentari, con il forte calo produttivo fatto registrare dal nostro paese pari al 20% in meno rispetto al 2016, proprio a causa dell’impatto di alcuni fattori climatici dannosi come le gelate di aprile e la grande siccità verificatasi a partire da maggio. Il calo della vendemmia ha riguardato anche altri paesi vicini come la Francia (-18% sul 2016) e la Spagna (-15%). Ed è per questo che la cooperazione vitivinicola di Italia, Francia e Spagna, che rappresenta 320mila viticoltori e produce circa il 50% del vino europeo e il 25% di quello mondiale, ha deciso di promuovere l’incontro organizzato oggi a Roma per provare a iniziare a lavorare su più campi al fine di provare a individuare possibili soluzioni al problema dei cambiamenti climatici.



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