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In Emilia-Romagna 3.500 donne convivono con il tumore ovarico

Tappa a Bologna per ‘Tumore ovarico, manteniamoci informate!', promossa da Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra, con il sostegno incondizionato di GSK

Pubblicato:28-01-2021 13:23
Ultimo aggiornamento:28-01-2021 13:29

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ROMA – Prosegue la campagna ‘Tumore ovarico, manteniamoci informate!’ che oggi fa tappa in Emilia Romagna, dove sono circa 400-450 i nuovi casi di tumore ovarico ogni anno e circa 3.500 le pazienti che convivono con la malattia. Obiettivo dell’iniziativa, promossa da Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra, con il sostegno incondizionato di GSK, è invitare le donne e le pazienti a mantenersi informate, perché oggi sul fronte del tumore ovarico sono “molte le cose da sapere e le novità da conoscere”: in primo luogo, i progressi della ricerca e delle terapie che, come spiegano gli esperti, stanno “migliorando sopravvivenza e qualità di vita”, ma anche i test molecolari, che permettono alle pazienti di accedere al trattamento “più appropriato per il proprio tipo di tumore”. Insieme agli eventi territoriali, che vedono la partecipazione di specialisti e pazienti, la campagna informativa fa leva su una serie di attività online e social e su sei video-racconti (diretti da Paola Pessot e narrati dalla voce della testimonial Claudia Gerini) disponibili sul sito web www.manteniamociinformate.it e sui profili Facebook e Instagram della campagna.

In Italia, intanto, ogni anno oltre 5.200 donne ricevono una diagnosi di tumore ovarico e, a causa di sintomi aspecifici o non riconosciuti, in circa l’80% dei casi la malattia viene diagnosticata in fase già avanzata. Oggi però lo scenario è in evoluzione e una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le pazienti di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia e che si sono dimostrate efficaci su questa neoplasia. “Uno dei progressi più importanti- spiega Stefania Gori, presidente Fondazione AIOM e direttore Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabri, Negrar- è la possibilità di utilizzare, in fase di mantenimento dopo la chemioterapia, terapie orali con i PARP inibitori, che hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione BRCA. Finalmente adesso i PARP inibitori possono essere utilizzati anche nelle pazienti ‘senza’ mutazione BRCA, che rappresentano ben il 75% del totale e che fino a poco tempo fa avevano poche alternative terapeutiche”.

Tali farmaci possono essere utilizzati dopo una prima linea di chemioterapia oppure al momento della recidiva di tumore, dopo altre linee di chemioterapia. “Purtroppo ancora oggi- prosegue Gori- 3 pazienti su 4 senza mutazione BRCA (Wild Type) in recidiva non sono in terapia di mantenimento con un PARP inibitore o non lo ricevono in modo tempestivo ma sicuramente questo dato tenderà a migliorare nel tempo”. La diagnosi precoce per il carcinoma ovarico non esiste ancora e le uniche due armi per contrastare la malattia da subito sono la conoscenza e cure appropriate.

Zamagni (S.Orsola): “Tumore ovarico subdolo”

“Il tumore dell’ovaio nasce direttamente dalle ovaie o dalle tube, o qualche volta addirittura dal peritoneo, in maniera molto subdola- spiega Claudio Zamagni, direttore dell’Oncologia Medica Addarii del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi e direttore del Comitato scientifico di LOTO Onlus– quindi raramente è un tumore che dà sintomi precoci e 3 volte su 4 viene diagnosticato in fase avanzata, quando è già uscito dalla pelvi e ha invaso il peritoneo e la cavità addominale. Questo è un aspetto fondamentale, perché per questa neoplasia non abbiamo screening per la diagnosi precoce e quando arrivano i segnali la malattia è già fuori controllo”.



Uno degli obiettivi della ricerca è quello di trovare strumenti di screening della popolazione femminile. Dal punto di vista della pratica clinica, invece, l’obiettivo è quello di definire la strategia diagnostica e terapeutica ottimale per la donna. “Bisogna capire in primo luogo se quella paziente è o non è operabile– prosegue Zamagni- che tipo di tumore ovarico ha e quali sono le sue caratteristiche biologiche. Al momento della diagnosi i clinici sono ad un bivio: operare in prima battuta oppure somministrare terapie farmacologiche e poi intervenire chirurgicamente. Tutto ciò va definito nell’ambito del team multidisciplinare, il solo che può assicurare la migliore garanzia possibile che le cose vadano bene per la donna”.

De Iaco (S. Orsola): “Importante la diagnosi precoce”


Cruciale, allora, diventa la diagnosi precoce: “Il carcinoma ovarico è una malattia che cresce progressivamente senza dare segno di sé, se non quando è già diffuso e in quel momento può dare qualche sintomo come la presenza di liquido in addome- fa sapere Pierandrea De Iaco, direttore Oncologia Ginecologica, AOU Sant’Orsola-Malpighi- La diagnosi precoce è molto importante poiché siccome uno dei cardini del trattamento è rappresentato dalla chirurgia, se si riesce ad intercettare il tumore quando è ancora piccolo e non diffuso è possibile asportarlo completamente, evitando interventi più aggressivi e con una migliore qualità della vita”.


Il consiglio alle donne è dunque quello di “sottoporsi periodicamente ad un’ecografia pelvica transvaginale– sottolinea ancora De Iaco- in grado di individuare eventuali cisti ovariche o masse. Se la donna presenta familiarità si deve procedere con l’esame CA 125 del sangue, un marcatore tumorale che sta ad indicare con una buona probabilità, la presenza di un tumore ovarico. Recentemente è infine comparso un altro marcatore, He4, che può essere di ulteriore aiuto. Una volta diagnosticata la malattia è d’obbligo fare una TAC total body che serve a vedere quanto è diffuso il tumore con risultati affidabili”, conclude l’esperto.

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