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Strage di Bologna, la Procura chiede l’ergastolo per Cavallini

Requisitoria del pm di Bologna Enrico Cieri nel processo all'ex Nar per concorso nella strage del 2 agosto 1980

Pubblicato:27-11-2019 11:15
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:40
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BOLOGNA – “Un delitto come questo, nonostante il tempo passato e la condotta successiva dell’imputato, non merita altra pena che l’ergastolo“. Così il pm di Bologna Enrico Cieri ha concluso la sua parte di requisitoria nel processo all’ex Nar Gilberto Cavallini per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria del capoluogo emiliano. Ai giudici della Corte d’Assise, Cieri ha detto che “se doveste ritenere che Cavallini ha semplicemente offerto a Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva come esecutori della strage, ndr) solo un passaggio fino a Bologna mentre lui si dedicava ad altro, quantomeno dovreste ritenere il contributo di aver offerto una base logistica e documenti contraffatti una condotta di partecipazione colpevole alla strage, che lo deve far ritenere responsabile”.

“‘4 CHIODI’ COLLEGANO CAVALLINI A ATTENTATO”

Sono quattro, secondo il pm Enrico Cieri, i punti fermi dell’accusa a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini, a processo in Corte d’Assise a Bologna per concorso nella strage del 2 agosto 1980. “Quattro chiodi”, li definisce Cieri nella sua requisitoria, su cui si fondò la condanna all’ergastolo, come esecutori dell’attentato, di Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, e che “devono portarvi- dice il pm rivolgendosi ai giudici- alla conclusione assolutamente obbligata della condivisione piena del progetto stragistico anche da parte di Cavallini, che in quei giorni ospitò il resto della banda a casa sua e di Flavia Sbrojavacca a Villorba di Treviso”.

I quattro punti, dettaglia Cieri, sono rappresentati in primis “dalle dichiarazioni di Massimo Sparti“, principale accusatore dei Nar, “su cui non è stato acquisito nulla che le contraddica”, e dal movente dell’omicidio del leader siciliano di Terza posizione, Francesco Mangiameli, ucciso perché avrebbe potuto rivelare “sconcertanti responsabilità sulla strage”. Oltre a questo ci sono “la telefonata di Ciavardini all’amica Cecilia Loreti per avvisarla di posticipare dal 2 al 3 agosto un viaggio a Venezia” e il fatto che “l’alibi fornito dai Nar per il giorno della strage è fasullo“. Secondo il pm, infatti, “non è credibile che i quattro, la mattina del 2 agosto, si siano divisi e che solo in tre siano andati a Bologna con 15 chili di tritolo, non si capisce come visto che erano tutti insieme sull’auto di Sbrojavacca, mentre Cavallini sia andato a Venezia per far filettare un’arma”.


“NO A PISTE ALTERNATIVE-‘SUGGESTIONI’ P2-ANELLO”

“Non abbiamo condiviso gran parte delle sollecitazioni arrivate soprattutto dalle parti civili, comunque meritevoli di ogni encomio, perché le ritenevamo estranee a questo processo, come ribadito anche dalla Corte”. Dunque “non ci occuperemo dell’Anello, della P2, del delitto Mattarella, dei covi di via Washington e via Gradoli“, ma allo stesso modo “non ci soffermeremo sulle false piste alternative come quella palestinese, infarcite di depistaggi ad opera di criminali e anche di uomini dello Stato e rilanciate da alcuni organi di stampa”, così come “non ci riferiremo alle indagini della Procura generale, che non interferiscono con questo processo, come ha comunicato la stessa Procura generale, e in cui non c’è nulla che riguardi Cavallini, visto che non ci è stato comunicato nulla al riguardo”. Così il pm di Bologna, Enrico Cieri, ha tracciato i ‘confini’ entro i quali si muove la requisitoria della Procura nell’ambito del processo per concorso nella strage del 2 agosto 1980 a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini.

Questa mattina Cieri ha chiesto alla Corte d’Assise di condannare all’ergastolo l’ex terrorista di estrema destra, auspicando “una sentenza rigorosamente motivata, che rifugga le congetture e che affermi la responsabilità di Cavallini per quel crimine mostruoso”. Oltre a motivare il ‘no’ della Procura a molti degli approfondimenti investigativi chiesti dalle parti, spiegando che “non sono dovuti a inerzia o pigrizia, ma solo alla necessità di limitare l’istruttoria all’oggetto del processo“, il pm ha anche ricordato, tra le altre cose, le “affermazioni gravissime fatte dall’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, in un’intervista del 2008 al ‘Corriere della sera’”. Intervista in cui Cossiga disse, salvo poi ‘correggere il tiro’ davanti allo stesso Cieri, che la strage di Bologna fu “un incidente accaduto agli amici della ‘resistenza palestinese’, accusando i magistrati bolognesi di aver costruito un processo con una tesi ‘preconfezionata’”.

Ma Cieri ne ha anche per Danilo Coppe, l’esperto incaricato dalla Corte di svolgere la perizia chimico-esplosivistica nell’ambito del processo e che, secondo il pm, si è lasciato andare, “per sua stessa ammissione, ad affermazioni avventate e rivelatesi poi infondate, esponendole prima ai giornalisti”, ad esempio “le presunte ‘affinità’ della strage di Bologna con l’attentato compiuto a Marsiglia dal gruppo di Carlos, dove l’unica vera affinità è rappresentata dal fatto che entrambi hanno avuto come obiettivo una stazione ferroviaria”. Inoltre, chiosa Cieri, Coppe, “forse per orgoglio o per tenere il punto, ha detto che non si può escludere al 100% che il pezzo di alluminio trovato ai Prati di Caprara facesse parte della bomba, mentre le analisi hanno dimostrato che non poteva essere un componente del timer”.

A sostegno dell’ipotesi accusatoria, che si regge anche sulle dichiarazioni rese contro i Nar da Massimo Sparti, il pm ricorda inoltre che la Procura “ha chiesto gli atti per procedere per falsa testimonianza contro Stefano Sparti”, figlio di Massimo, la cui deposizione “era stata presentata come contraddittoria rispetto alle affermazioni del padre, ma è franata in modo grossolano”. Infatti, sottolinea Cieri, “Stefano Sparti ha esordito con un ricordo ‘lirico’ del 2 agosto, dicendo che vide arrivare a Cura di Vetralla Cristiano Fioravanti, che gli scompigliò i capelli e pranzò a casa loro”, ma in realtà da una nota della Questura di Roma è emerso che Fioravanti “fu scarcerato da Rebibbia alle 19.55 di quel giorno”. Infine, il pm riconosce che “questo è un processo indiziario, in cui manca una prova inconfutabile“, ma aggiunge che, nonostante questo, “una valutazione attenta delle prove deve portare ad affermare senza dubbi la responsabilità di Cavallini”. Anche perché, ricorda, anche gli altri processi sulla strage sono stati indiziari, ma “in questo procedimento non sono emersi elementi di novità che contraddicano le precedenti sentenze di condanna”.

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