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No al ddl Zan, a sinistra è tutti contro tutti. Si apre il caso dem

Dopo il sì alla 'tagliola', Maiorino (M5S) accusa: "Abbiamo lasciato la conduzione al Pd e questo è l'esito". Nel mirino anche Italia Viva. E l'ex ministra Fedeli chiede le dimissioni dei vertici dem in Senato

Pubblicato:27-10-2021 15:30
Ultimo aggiornamento:28-10-2021 12:50

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ROMA – Tutti contro tutti nel centrosinistra in Senato dopo il voto dell’Aula che ha accolto la cosiddetta ‘tagliola’, ovvero la richiesta del non passaggio all’esame degli articoli del ddl Zan presentata da Lega e Fratelli d’Italia. Un affossamento in piena regola. I 154 voti che hanno stoppato il disegno di legge contro l’omotransfobia di fatto hanno aperto uno scontro a tutto campo nel centrosinistra.

Difficile risalire ai voti effettivi, dato il voto segreto e l’alto numero di assenti (287 votanti su 315). 154 i senatori favorevoli alla tagliola e 131 i contrari, una differenza di 23 voti. Di questi, 16 – sospettano dalle parti del Pd e del M5s – dovrebbero essere arrivati da Italia Viva, anche se il capogruppo renziano a Palazzo Madama, Davide Faraone, ha preventivamente dichiarato voto contrario alla tagliola.

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Sul banco degli imputati c’è anche il Pd, accusato sia da M5S che da Italia Viva. La senatrice grillina Alessandra Maiorino si dice “amareggiata. Abbiamo lasciato la conduzione al Pd e questo è l’esito“, mentre il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato, accusa i dem di finta apertura dopo il no al rinvio del voto segreto in Senato: “Significava che le parole di Letta sulla mediazione erano solo spot”.

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Italia Viva, per bocca di Maria Elena Boschi, inserisce anche il M5S tra i colpevoli: “Sconfitta incredibile per arroganza Pd-M5S“, tuona. Non ci sta il Pd, che replica con le parole del padre del ddl ormai affossato. Secondo Alessandro Zan, Italia Viva “ha tradito il patto politico, le responsabilità sono chiare“.

Il fallimento del ddl apre una frattura anche all’interno dei dem, dove a caldo la senatrice Valeria Fedeli si lascia andare a uno sfogo tanto da chiedere le dimissioni dalla capogruppo e dei vertici in Commissione Giustizia. L’ex titolare del Miur ha poi corretto il tiro, ma senza rinunciare a chiedere “un chiarimento e un confronto franco”. Visibilmente dispiaciuto anche Andrea Marcucci, ex capogruppo dei senatori dem. “Il Pd si interroghi”, dice amareggiato.

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