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Cavallo ‘eroe’ gay, ma il calcio è ancora quello del martire Fashanu

Cavallo è uguale ma diverso, ma uguale, a Justin Soni Fashanu. Un inglese gay di colore che finì per uccidersi, diventando suo malgrado un'icona fuori tempo

Pubblicato:27-10-2021 15:43
Ultimo aggiornamento:27-10-2021 15:43

josh cavallo
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ROMA – “Noi siamo uguali agli altri, noi siamo come tutti gli altri, noi siamo diversi, noi siamo diversi, noi siamo uguali agli altri, ma siamo diversi, ma siamo uguali agli altri, ma siamo diversi”. Poi la Uno bianca di Palombella Rossa andava a schiantarsi mentre Nanni Moretti urlava “Mamma! Mamma, vienimi a prendere!”.

Il calcio è fermo a quella scena, 1989. Ad un mondo in cui Josh Cavallo, semisconosciuto calciatore australiano, fa coming out sui social, e d’improvviso tutti sanno chi è Cavallo. E’ la prima notizia dei rulli di news dei media sportivi di mezzo mondo. Se ancora parlassimo quel linguaggio di plastica dei tg, diremmo che “fa scalpore”.

Pochi minuti dopo il disvelamento è scattata la corsa alle congratulazioni, al sostegno di vip e istituzioni. Da Piqué alle federazioni. Sorpresa: c’è un omosessuale che gioca a calcio. Cavallo e la sua rivendicazione pubblica della omosessualità, sono una notizia. Un tabù. Perché nel “primato” dell’esposizione c’è una rottura. La percepiamo tale, pure se abitiamo il 2021 e non ne cogliamo l’arretratezza. Un giocatore che dice di essere gay fa ancora un effetto straniante, abituati come siamo a considerare il calcio per quel che in effetti ancora si vende: una bolla di cavernicoli machisti, in cui per quieto vivere certe cose è meglio tenerle per sé. 

Cavallo è uguale ma diverso, ma uguale, a Justin Soni Fashanu. Un inglese gay di colore che finì per uccidersi, diventando suo malgrado un’icona fuori tempo. All’epoca sua queste cose le leggevi sui tabloid, rimbalzavano negli spogliatoi e da lì non ne uscivi se non in esilio. Era il Novecento, un secolo storicamente breve e sociologicamente lunghissimo. Ce lo portiamo ancora appresso, è evidente.

Il capitano della Nazionale svedese Albin Ekdal – che gioca nella Sampdoria – ha denunciato in passato l’omertà professionale: “I gay nel calcio hanno paura di dichiararsi”. L’ex laziale tedesco Thomas Hitzlsperger, che pure il suo coming out l’ha fatto a carriera terminata, disse ad un quotidiano tedesco: “Immaginatevi i discorsi in uno spogliatoio, e certe battute sull’omosessualità. Anche questo ti impedisce di fare coming out, la paura della reazione dei tuoi compagni”.

D’altra parte l’aneddotica del pallone, anche quella contemporanea, è zeppa di imbarazzi e figuracce. Indimenticabile lo scontro Mancini-Sarri, quando l’attuale ct della Nazionale allenava l’Inter e dopo una partita col Napoli di Coppa Italia, in diretta tv, rinfacciò a Sarri di avergli dato del “finocchio”. Si offese ma cercò poi di spiegare che non voleva offendersi. Sarri fece pure peggio: si giustificò dicendo che avrebbe potuto anche dargli del democristiano.

“Finocchi” e “democristiani” che volavano, nientemeno che in Rai. Scandalo. Era il 2016. Fashanu fu martire di un’altra epoca: il coming out manco si chiamava così, al Notthingham Forrest di Brian Clough. E quando si seppe, non solo scandalizzò compagni e avversari, ma pure tutta la comunità di neri inglesi. I tabloid britannici ne scrissero come di “un affronto, un danno d’immagine patetico e imperdonabile”. Il fratello, persino, lo rinnegò. Lui scappò in Canada, mentre il suo nome era nella classifica dei Top 500 eroi gay di The Pink Paper.

Con un’accusa di stupro e una nuova fuga in Inghilterra, la fece finita: la mattina del 3 maggio 1998 venne trovato impiccato in un garage di Londra, con un biglietto di addio in cui scrisse queste parole: “Desidero dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina lui mi ha chiesto denaro. Quando io ho risposto ‘no’, mi ha detto: ‘Aspetta e vedrai’. Spero che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace, infine”.

Di leggende – o onesti comprimari – dello sport che hanno rotto il muro ce ne sono a decine. L’elenco dei calciatori maschi che si sono dichiarati pubblicamente gay è striminzito. Non se ne tira fuori nemmeno una formazione: Fashanu, Hitzlsperger, Hysén, Rogers, Rouyer, Testo, Pacifici, Martin, Brennan, Cavallo. Nessuno di questi aveva il nome e la fama per mettersi sotto un riflettore a battagliare pubblicamente con il presidente degli Stati Uniti, come è toccato alla campionessa Megan Anna Rapinoe contro Donald Trump.

Perché – di nuovo – il calcio maschile del 2021, che si autoproclama la più grande industria dello sport mondiale, ha la stessa elasticità d’una lastra di marmo. E’ impermeabile, almeno nell’immagine che per convenienza e retorica ci tiene a riflettere. Per questo stesso antiquato mondo Josh Cavallo non è più solo un calciatore, ma un rivoluzionario. E noi che l’accogliamo come tale siamo tristemente conformi. Uguali, ma diversi, ma uguali.

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