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Etiopia, voci dall’incontro ‘Dire’: “Basta silenzio sul Tigray”

In primo piano, nel dibattito, le difficoltà di reperire notizie sul conflitto e il blocco degli approvvigionamenti imposto dall'esercito federale

Pubblicato:27-10-2021 12:46
Ultimo aggiornamento:27-10-2021 12:48
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ROMA – Bisogna rompere il silenzio dei media sul conflitto in corso in Etiopia, nella regione del Tigray ma anche in quelle vicine di Afar e Amhara, ponendosi non dalla parte di questo o quel partito ma anzitutto delle vittime civili: è l’impegno rilanciato nel corso di un incontro ospitato dall’agenzia Dire.

“Forse ci renderemo conto della gravità della carestia in Etiopia quando sarà troppo tardi e quando ci troveremo a contare le tombe delle persone decedute” ha denunciato Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation alla Fletcher School della Tufts University. In primo piano nel suo intervento le difficoltà a far raggiungere aiuti umanitari nel Tigray a causa di un blocco degli approvvigionamenti imposto dall’esercito federale. Le accuse al governo dell’Etiopia, che ha avviato un’offensiva il 4 novembre 2020 prima di essere respinto dal Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), tuttora al potere a Macallè, sono state al centro di un confronto.

Secondo Muluwork Ayele, presidente dell’Associazione della comunità etiopica in Italia, il primo ministro Aby Ahmed ha meritato il Premio Nobel della pace per la riconciliazione del Paese con l’Eritrea ed è stato rieletto quest’anno anche per questo. “In Etiopia c’è democrazia e il conflitto è stato cominciato dal Tplf, non dal governo” ha sottolineato l’attivista. Su posizioni simili Carmelo Carmelo Ghebresellassie Crescenti, dell’associazione Exodus, secondo il quale “Abiy ha portato il Paese fuori da 27 anni di dittatura”. Un riferimento, il suo, a un periodo di egemonia politica esercitata a livello federale da dirigenti tigrini, in particolare sotto la guida di Meles Zenawi.

L’incontro era intitolato ‘Atrocità nel Tigray e oltre. Quali sono il contesto e le responsabilità? E cosa possiamo fare?’. A organizzarlo, ieri pomeriggio, in presenza e in collegamento web, la campagna internazionale United Against Inhumanity (Uai) in collaborazione con l’Istituto di diritto, politica e sviluppo della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa.

In primo piano, nel dibattito, le difficoltà a reperire e verificare le notizie sul conflitto. “Prima o poi le informazioni usciranno dall’Etiopia, ma nel frattempo rischia di consumarsi una strage silenziosa che potrebbe diventare una polveriera regionale” ha avvertito Antonio Donini, co-fondatore dell’organizzazione United against inhumanity. Secondo l’attivista, che in passato ha lavorato come ricercatore per le Nazioni Unite e dal 1999 al 2002 ha diretto l’ufficio dell’Onu per il coordinamento dell’assistenza umanitaria in Afghanistan, “la crisi non riguarda solo il Tigray” perché “ci sono tra i 60mila e i 70mila rifugiati etiopi nel Sudan e in Somalia c’è l’esercito etiope nel ruolo di peacekeeper che probabilmente vorrà far tornare indietro i soldati”. Donini ha anche proposto la creazione di un osservatorio sui diritti “per avere accesso a un’informazione che sia il più possibile credibile e verificabile”.


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