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Il restauro dell’Iscr svela i segreti dei ‘Tre Cardinali’. Un libro racconta il lavoro sulla grande statua che si credeva perduta

Due metri e trenta per circa 800 chili di peso. Un blocco unico di marmo di Carrara scolpito con diversi strumenti dalla mano di Domenico Guidi per realizzare un'opera seicentesca che si credeva perduta, ma di cui le fonti raccontavano l'esistenza

Pubblicato:27-10-2015 12:06
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:41

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Tre_Cardinali_di_Domenico_Guidi_01ROMA – Due metri e trenta per circa 800 chili di peso. Un blocco unico di marmo di Carrara scolpito con diversi strumenti dalla mano di Domenico Guidi per realizzare un’opera seicentesca che si credeva perduta, ma di cui le fonti raccontavano l’esistenza. Custodita nell’archivio di palazzo Lancellotti, in piazza Navona, la riscoperta dei ‘Ritratti dei cardinali Rondinini e Zacchia’ per l’Istituto superiore per la Conservazione e il Restauro (Iscr) e’ diventata l’occasione per conoscere i segreti di esecuzione del manufatto commissionato dalla nobildonna Felice Zacchia per onorare la memoria dei porporati di famiglia. La richiesta di intervenire sulla grande statua e’ arrivata all’Istituto di San Michele direttamente dalla Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoartropologico tramite Maria Giulia Barberini, chiamata dalla famiglia Lancellotti per studiare l’opera sconosciuta. La storia incredibile del ritratto dei Tre cardinali e’ oggi pubblicata in un libro, curato dalla stessa Maria Giulia Barberini e da Cristiano Giometti: il volume ‘Tre cardinali e un monumento. Viaggio nella Roma del Seicento tra devozione e arte’, edito da Campisano. La pubblicazione contiene anche una completa documentazione dell’intervento eseguito da Luciana Festa e Flavia Vischetti, le restauratrici Iscr che hanno lavorato nel 2012 sul marmo di Carrara plasmato da Guidi.

L’agenzia Dire ha chiesto loro di raccontare il restauro de ‘I tre cardinali’.

FLAVIA VISCHETTI – “E’ stato un incontro casuale: eravamo nella sede della Soprintendenza per altri motivi, visto che come Istituto e come Scuola lavoriamo spesso insieme, e abbiamo incontrato Maria Giulia Barberini e Cristiano Giometti che ci hanno mostrato le foto di quest’opera. E’ stata una sorpresa, e abbiamo immediatamente messo in moto questa collaborazione. L’opera era stata sempre ben conservata, e’ bastato togliere gli strati di polvere per trovare le tracce dello scalpello, della raspa, la gradina, il trapano e l’unghietto, tutti strumenti che Guidi usava e che noi abbiamo potuto mappare nelle schede che si trovano nel libro. Normalmente l’Istituto non lavora con opere private, ma questa per noi e’ stata l’occasione per aggiungere elementi alla ricerca sull’autore e scoprire un’opera importante, custodita in un luogo che non ci si immaginerebbe mai: un archivio privato”.


LUCIANA FESTA – “Quando siamo arrivate nell’archivio di palazzo Lancellotti, la sorpresa e’ stata trovare questa scultura di grandi dimensioni inserita all’interno delle scaffalature che contenevano l’archivio storico della famiglia. La stanza non era molto spaziosa e l’opera ne occupava quasi tutta una parete. Era addossata al muro, montata su un supporto in ferro ricoperto di legno a simulare un mobile. Visto che la scultura era molto pesante e molto difficile da trasportare, abbiamo eseguito l’intervento direttamente li’. Il lavoro di pulitura e’ stato molto delicato, e ha permesso di studiare con piu’ attenzione i segni della lavorazione e le tecniche di esecuzione di Domenico Guidi che, in contrasto con le tendenze della sua epoca, eseguiva le sue opere usando un unico blocco di marmo. Qualche tempo dopo la conclusione dei lavori, il manufatto e’ stato portato a Castel Sant’Angelo per essere esposto all’interno della mostra ‘I papi della Speranza’. Al momento della movimentazione, operazione molto delicata che abbiamo seguito da vicino, abbiamo potuto osservare che Guidi aveva alleggerito la sua opera scavando il marmo in corrispondenza del retro dei busti. E’ stata un’ulteriore occasione di conoscenza e studio, malgrado tutto questo abbia rallentato le operazioni di trasporto e sia avvenuto nel bel mezzo dell’androne del palazzo”.

È una storia incredibile quella dell’opera di Domenico Guidi, un racconto che parte dalla Roma del Seicento e, attraverso gli intrecci di una famiglia, arriva fino a oggi. Il ritratto dei tre porporati che si credeva perduto riappare infatti nel cuore della Roma del Terzo millennio, in casa di un’altra famiglia. Due studiosi riescono a ricostruire la provenienza e a capire che quell’enorme statua di marmo di Carrara, lunga più di due metri, e’ proprio quella che si credeva andata perduta. A studiare i tratti marmorei dello zio Emilio, il padre Laudivio, che abbraccio’ la carriera ecclesiastica dopo la morte della moglie, e il figlio Paolo Emilio Rondinini è stata Maria Giulia Barberini, curatrice del volume insieme a Cristiano Giometti. Ed e’ proprio Barberini, tramite la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoartropologico, a coinvolgere nel 2012 l’Istituto per restaurare l’opera. Lei, pero’, con i tre cardinali dialoga gia’ dal 2007, incontra la famiglia e conosce la donna che sta dietro al ritratto dei tre uomini. E con lei, Felice Zacchia, esplora “questo mondo di nobildonne che seppero unire committenza e devozione”. All’agenzia Dire Barberini racconta come e’ nata la scoperta dei ‘Ritratti dei cardinali Rondinini e Zacchia’ di Domenico Guidi.

Dottoressa Barberini, dove si trovava l’opera e come e’ entrata in contatto con lei?
“‘I tre cardinali’ era nell’archivio di palazzo Massimo Lancellotti, a piazza Navona. La sua destinazione non era quella, naturalmente. In origine, l’opera doveva essere destinata alla chiesa di Santa Maria della Concezione ai Monti, ma li’ non arrivo’ mai. Sembra che la famiglia degli attuali proprietari l’abbia comprata da un marmoraro che lavorava sul Tevere”.

Tant’e’, la statua era a piazza Navona. Come avete capito che si trattava proprio de ‘I tre cardinali’?
“La storia e’ nata nel 2007, quando Oretta Lancellotti mi chiamo’ per dirmi che nell’archivio del palazzo c’era questa scultura. I protagonisti, pero’, non corrispondevano a nessuno degli antenati di casa Lancellotti. In ogni caso, i proprietari hanno voluto notificare subito la presenza di quest’opera. Mi chiesero di andare a vederla. Io pensavo si trattasse di un busto. Quando mi sono trovata davanti questi due metri e dieci di marmo di Carrara, mancava poco che svenissi. Ero incredula. Un unico blocco di marmo, una scelta inusuale per quegli anni. Poi incontrai Cristiano Giometti (storico dell’arte, ndr) e gli descrissi l’opera. Lui stava studiando uno scultore del Seicento. Ebbe l’intuizione che potesse trattarsi proprio dei tre cardinali. E cosi’ e’ stato”.

Da dove e’ partita per ricostruire la storia e la provenienza dei tre cardinali?
“Il mio metodo e’ sempre stato quello di partire da un oggetto. Questo monumento e’ splendido per la sua grandezza, la maestosita’ e la sua storia. Ma la prima domanda che mi sono posta e’ stata: ‘Da dove parto? Dalle nappe? Dalla mano non realizzata? Dall’anello?’. Perche’ un oggetto e’ in grado di parlare, sempre, anche se si tratta di una sedia. Le cose dicono, basta amarle e guardarle. Anche combatterci. E questo e’ un atteggiamento fondamentale. Ecco, non c’e’ soltanto la testa, ma anche l’emotivita’. Studiare quest’opera e’ stata una grande emozione, un viaggio fatto con molti amici, storici, architetti, restauratori e scrittori”.

di Nicoletta Di Placido – giornalista professionista

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