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VIDEO | Caso Lavinia Montebove, la maestra imputata: “Non ho chiuso le porte, un bimbo doveva fare pipì”

In aula le parole della maestra imputata per l'investimento di Lavinia, la bimba investita a 16 mesi nel parcheggio dell'asilo e in stato vegetativo da quel tragico 7 agosto 2018

Pubblicato:27-09-2022 09:04
Ultimo aggiornamento:27-09-2022 10:00
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VELLETRI – È arrivato il giorno. A deporre al Tribunale di Velletri, nel processo sul caso della piccola Lavinia Montebove, investita nel parcheggio dell’asilo e da allora in stato vegetativo, è stata la maestra Francesca Rocca, imputata per il reato di abbandono di minore.

La piccola di 16 mesi quel 7 agosto 2018 gattonava da sola ed è stata investita dalla Bmw di Chiara Colonnelli che, nella scorsa udienza, ha confermato che la piccola era in quel momento sola, specificando che il cancelletto che divideva il parcheggio dal parchetto dell’asilo era aperto.

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La maestra ha risposto alle domande del pubblico ministero per rendere la sua testimonianza dei fatti: un tragico evento, stando alla sua ricostruzione, accaduto dopo un’emergenza che le ha impedito di rendersi conto, in una manciata di secondi o forse in un tempo incalcolabile come dirà, che la piccola Lavinia gattonando era ‘fuggita’ fuori nel parcheggio. Ha ricordato di avere lasciato cancelletto e porta a soffietto aperte mentre rientrava dal parchetto dei giochi con in braccio il piccolo A. e per mano Lavinia.


Tanti i momenti difficili di questa udienza di oggi. Il papà della piccola, Massimo Montebove, in più occasioni ha chiuso gli occhi e messo la testa tra le mani. La moglie Lara gli ha messo più volte una mano sulla spalla. La maestra ha risposto alle domande del pubblico ministero, Giovanni Taglialatela, e scelto di rimanere accanto al suo legale, Anna Scifoni, senza sedersi come di consueto di fronte alla platea. Lì dove siedono, come in ogni udienza accanto al loro avvocato, Cristina Spagnolo, Lara e Massimo, i genitori della piccola Lavinia.

“ERANO LE 9.50, ERA CALDO. SIAMO USCITI PRIMA DELLA MERENDA”

Erano le 9.50 e io ero sola, c’erano 5 bambini, poi sono diventati 7 dopo i fatti accaduti. Io ero all’interno della struttura” ha iniziato a riavvolgere il filo di quel 7 agosto 2018, quando il pubblico ministero ha posto una domanda cruciale: “E Lavinia che ci faceva fuori?“. “Faceva caldo e i bimbi chiedevano di andare fuori- ha raccontato la maestra-. Ho pensato di andare prima delle 10, una mezz’oretta prima della merenda. Dopo 20 minuti ho detto rientriamo e il piccolo A. ha richiamato la mia attenzione: non riusciva a scendere dall’altalena e doveva fare pipì, stava togliendo il pannolino e temeva di farsela sotto. L’ho preso in braccio e con l’altra mano tenevo la manina di Lavinia” per rientrare nella struttura. La bimba invece oltre che alla maestra dava l’altra mano ad A., la bambina più grande della classe legata alla maestra Rocca anche da un rapporto personale.

“HO VISTO LA BAMBINA ENTRARE NELLA STRUTTURA”

“Non avevo chiuso il cancelletto pedonale e la porta a soffietto- ha ammesso Rocca– ho messo Lavinia seduta all’interno, a ridosso del portone d’entrata. Io l’ho vista entrare nella struttura, stava imparando a camminare”, ha confermato piangendo. Ha poi bevuto e continuato il suo racconto. In quel lasso temporale non definito mentre la maestra portava in bagno il piccolino, la bimba grande A. le ha detto di dovere fare pipì, anche lei: “Cerco un fazzoletto e sento urlare ‘corri corri’ e ho visto Lavinia sdraiata a terra e la Colonnelli (l’investitrice) con le mani alla testa. Non riuscivo a capire. Lavinia era a pancia sotto, l’ho chiamata forte e ha mosso il braccetto. Urlavo”, ha raccontato l’imputata.

Quanto tempo è passato tra le grida e il vedere Lavinia? “Secondi”, ha risposto Rocca. E ancora: “L’emergenza qual era?”, le ha domandato il pm, il bambino che doveva andare in bagno, la pipì della ragazza grande, il fazzoletto? “Il bimbo aveva necessità e non potevo farlo bagnare davanti a tutti”, ha spiegato ancora l’imputata”.

È tornato poi il tema del tempo, quel lasso tra Lavinia che è rimasta seduta a ridosso della porta e le grida, un intervallo che Rocca non ha saputo quantificare, ma sa “di non aver chiuso le porte”, questo lo ha ripetuto a più riprese: “Avevo le mani impegnate“.

La maestra Rocca ha quindi girato Lavinia da terra, l’ha chiamata e visto che non aveva una lacrima. “Ho pensato che era grave”, ha quindi aggiunto. Vedrà un po’ di sangue sul suo braccio colare dalla nuca e poi in macchina, nel tragitto al Pronto Soccorso, dal nasino.

I SOCCORSI NON SONO STATI CHIAMATI

Non ha chiamato i soccorsi, pur avendo fatto la formazione necessaria in questi casi. “Dovevamo sbrigarci”, ha raccontato pensando a quei momenti in cui le è sembrato così di fare la scelta più giusta. La maestra ha raccontato di aver lasciato i bimbi alla mamma di un bambino, L., “Stai con i bimbi” le avrebbe detto prima di correre via nella macchina con Lavinia in braccio e l’investrice alla guida, anche se un test della difesa ha dichiarato già nelle precedenti udienze di aver trovato i bimbi da soli. Da soli o con la mamma di L.?

La maestra ha ricostruito anche le telefonate in cui ha chiamato Lara, la madre di Lavinia, e le ha riferito: “È successo un incidente”. Tornata a scuola dopo aver lasciato la piccola, che intanto era stata messa su un elicottero per il Bambino Gesù, ha chiesto ad Aurora, la giovane collaboratrice che ha mandato a chiamare, di lavare il sangue dal punto dell’investimento sul parcheggio. Quindi c’era sangue? Non lo ha ricordato Rocca, ma va detto che nella precedente udienza Aurora aveva detto di aver portato il secchio alla maestra, e che lei avrebbe lavato le macchie. “Non so, l’ho detto alla polizia- ha spiegato la maestra- C’era una scarpina a terra e l’ho raccolta, l’altra l’avevo tolta in macchina”.

La maestra, che ancora insegna, ha parlato poi della sua formazione, della scelta di istituire un nido famiglia e sulla mancanza di regolarità della Scia della struttura, contestata dall’avvocata dei genitori di Lavinia, secondo la nuova delibera comunale, ha risposto: “Non lo sapevo”, adducendo come spiegazione che nel piccolo centro, con rapporti costanti con il Comune, c’era di solito un passaparola.
Rocca, rispondendo alle domande di Anna Scifoni, ha raccontato di sè, di esser paziente oncologica, di aver affrontato chemio e radio.
Di quel giorno ha ricordato ancora “i leggins fiorati di Lavinia, le scarpette rosa“, di aver intuito quanto accaduto alla piccola senza chiederlo mai una sola volta alla Colonnelli. Un punto che è tornato più volte nell’interrogatorio.

L’udienza si è conclusa con quei pochi secondi di filmato del 27 luglio inviatole da mamma Lara in cui Lavinia gattona veloce con una maglietta colorata. Chiede di mostrarlo l’avvocato della difesa. Un abisso da quella piccola impolverata con gli occhi socchiusi e un braccetto che muove appena, come l’ha descritta la maestra Rocca quando l’ha trovata riversa a terra e ha pensato solo a “correre”. “Me l’avevano affidata– ha chiosato- io ne ero responsabile”.

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