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Aborto sicuro, la ginecologa ‘Amica’: “Non uccido bambini”

Intervista a Anna Pompili, ginecologa e socia fondatrice di Amica-Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto

Pubblicato:27-09-2019 18:01
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:45
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ROMA – “‘Women on Web’, organizzazione che si occupa di fornire le pillole per l’aborto farmacologico alle donne che si trovano in Paesi dove l’interruzione di gravidanza è illegale o l’accesso è difficile, ci ha fatto sapere che in questi ultimi tempi tantissime richieste di pillole abortive provengono dall’Italia, dove però non le invia perchè l’ivg è legale”. A parlare alla Dire, per la vigilia della Giornata internazionale dell’aborto sicuro, è Anna Pompili, ginecologa dell’ospedale San Giovanni a Roma, in servizio anche al consultorio familiare di Monte Mario, e socia fondatrice di Amica-Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto, che aggiunge: “Questo vuol dire però che, laddove l’accesso è in qualche modo ostacolato, le donne cercano altre strade. E non garantire un diritto alle cittadine italiane è un fallimento anche per il Sistema Sanitario Nazionale”.

È proprio sull’uso del mifepristone, meglio conosciuto come Ru-486, che oggi in Italia si gioca la partita dell’accessibilità all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), in un quadro che, anche per l’aborto chirurgico, è fortemente disomogeneo e varia da regione a regione.

“In base ai dati dell’ultima relazione del ministero della Salute in Italia nel 2017 la pillola abortiva è stata utilizzata nel 17,8% del totale dei casi di aborto, nonostante sia molto efficace in gravidanza iniziale e siano pochi gli eventi avversi se usata correttamente- spiega la ginecologa di Amica, associazione nata per “assicurare a tutte le donne l’accesso e la libertà di scelta in merito alle possibili tecniche per l’aborto”- Ma la situazione in Europa è ben diversa: in Francia il ricorso al mifepristone arriva al 60%, in Portogallo al 70, nonostante la legge che legalizza l’aborto sia recente, mentre in Finlandia addirittura si raggiunge il 98%”.


Uno dei problemi, per Pompili, riguarda le Linee di indirizzo sull’ivg farmacologica diffuse nel 2010 dal ministero della Salute, che “stabiliscono la forte raccomandazione al ricovero ordinario”. Tre giorni per una procedura “che nel resto del mondo si fa a casa”. La stessa Food and Drug Administration (ente che negli Stati Uniti si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ndr), “alle cui prime linee guida il ministero si era ispirato, nel 2018 ha esteso la possibilità di usare la pillola entro i 70 giorni, raccomandando il regime ambulatoriale”.

Ma in Italia le regioni in cui è previsto il day hospital sono solo otto (Piemonte, Toscana, Puglia, Lazio, Liguria, Lombardia, Umbria e l’apripista Emilia Romagna) e i giorni entro i quali la pillola può essere assunta sono 49. “Quello che noi chiediamo- sottolinea Pompili- è che il termine venga esteso come nel resto d’Europa ai 63 giorni, come da bugiardino, e che si riveda il regime ordinario di ricovero – un impegno non giustificato per il Servizio Sanitario Nazionale – prevedendo il day hospital e il regime ambulatoriale in tutta Italia, non solo in ospedale ma anche in consultorio”.

L’ostacolo è “culturale” perchè a cambiare è la relazione tra donna e operatore: “Con la pillola la donna agisce in prima persona e il medico non gestisce più, ma osserva, valuta”. Una “rivoluzione culturale in termini medici che dà fastidio- osserva la ginecologa- perchè le donne che agiscono in prima persona fanno paura”.

E se, da un lato, l’accesso alla Ru-486 è estremamente variabile “da Regione a Regione, ma anche da provincia a provincia e da ospedale a ospedale”, dall’altro c’è il web, dove “se provi a digitare aborto farmacologico trovi moltissimi siti disponibili a inviarle i kit via posta”. Per questo motivo oggi è più difficile quantificare il dato degli aborti clandestini.

“Nel 2017 su circa 80mila aborti quelli clandestini sono stati stimati tra i 12 e i 15mila- continua la ginecologa- Un dato rimasto invariato dal 2005, si sottolinea nella relazione, anno in cui però gli aborti erano stati circa 130mila. Dovrebbe essere un dato preoccupante, ma viene liquidato in maniera veloce”. Le modalità di rilevare l’abortività clandestina per Pompili andrebbero riviste perchè “non tengono conto del fatto che nel 2005 l’aborto clandestino era chirurgico. Oggi, invece, una donna può decidere di comprare la pillola online e magari non se ne accorge nessuno”.

Sull’applicazione della legge 194, la ginecologa di Amica chiarisce: “La prima parte dell’articolo 9 sull’obiezione di coscienza è applicatissima, non altrettanto la parte in cui si dice che tutte le strutture devono garantire l’espletamento dell’aborto. La relazione dell’allora ministra, diffusa nel gennaio 2019, parla chiaro: il 40% degli ospedali non applicano la legge. Eppure dovrebbe essere più facile applicarla, da dieci anni a questa parte, perchè ormai con il farmacologico non c’è più bisogno della sala operatoria”.

Ma non è solo la presenza degli obiettori a rendere difficoltosa l’ivg. “La Regione con il maggior numero di obiettori, il Molise (98%), è anche quella dove i tempi di attesa dal momento del rilascio del documento certificato all’espletamento della procedura sono i più brevi. Mentre la Valle d’Aosta, dove gli obiettori sono solo il 15%, ha i tempi di attesa più lunghi”.

Come si spiega? “L’accessibilità all’aborto è legata anche all’obbligo di avere un tempo di ripensamento stabilito per legge, insopportabile per una donna sicura della sua scelta- chiarisce l’esperta- E poi ci sono i contesti organizzativi: la disponibilità delle sale operatorie, i turni, laddove l’interruzione di gravidanza è considerata la cenerentola degli interventi”.

Esiste, infatti, “uno stigma interiorizzato, anche per i medici non obiettori. Io personalmente sono orgogliosa di fare questo lavoro- confessa- perchè so di trattare la salute sessuale e riproduttiva a tutto tondo. So benissimo che non uccido bambini quando pratico gli aborti, ma questa particolare etica manca agli operatori. C’è sempre un’idea di non riconoscimento del diritto delle persone a scegliere”.

L’aborto è, di fatto, “un metodo di controllo delle nascite- rilancia Pompili- Le persone hanno diritto di scegliere, i bambini di nascere se amati e nessuna donna può essere obbligata a portare avanti una gravidanza indesiderata”.

Aiuterebbe, certo, “una contraccezione gratuita per tutti, mentre nelle regioni dove si attua è dedicata solo ai giovani fino ai 24-26 anni o alle donne che hanno già abortito perchè a ‘rischio recidiva’. Ma non so- conclude- se in Italia potrebbe portare ad un calo delle ivg. So, però, che le donne e gli uomini hanno diritto di scegliere e che dove l’accesso alla contraccezione è limitato e quello all’aborto stigmatizzato questo diritto di scelta non viene rispettato”.

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