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VIDEO | La testimonianza di una mamma coraggio: “I miei figli temono il padre, la casa famiglia non è la soluzione”

Mamma D., di origini somale, mai avrebbe pensato che in Italia accadesse questo a donne e figli dopo aver denunciato violenza e maltrattamenti

Pubblicato:27-08-2021 14:02
Ultimo aggiornamento:02-09-2021 15:33
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ROMA –  Da marzo D. e i suoi figli adolescenti, alle porte della Capitale, vivono nell’ansia, barricati in casa. Non c’è una gita, una partita a pallone, un’uscita. Polizia e servizi sociali già due volte hanno tentato di collocare mamma e bambini in casa famiglia, e i ragazzini “si sono spaventati tantissimo”. Così ha stabilito un decreto del Tribunale ordinario di Roma a marzo, confermato poi a maggio. mamma D., di origini somale, mai avrebbe pensato che in Italia accadesse questo a donne e figli dopo aver denunciato violenza e maltrattamenti.

“Tutti i bambini sono il futuro, non vanno divisi dalle loro mamme senza riconoscere i diritti di donne e bambini. La casa famiglia– ha detto intervistata dalla Dire per l’inchiesta ‘Mamme coraggio’ – non è la soluzione. Io ho denunciato il mio ex per le violenze fisiche e psicologiche fatte a me e ai bambini, non vedo perché dobbiamo subire questa ulteriore violenza, perché si debba impedire ai miei figli la loro vita”. Il procedimento penale “è tutto fermo”, ma intanto il prelevamento dei minori è in corso. “Mi sono sempre occupata dei miei figli, sono una mamma idonea che ama i suoi figli. I bambini rifiutano di vedere il padre, hanno paura”. A dirlo è anche una CTU che però ha definito D. “iper protettiva”, addebitandole di non aver “tutela della figura paterna”. I minori hanno un rapporto “fusionale” come fratelli e su di loro, come riportato in relazione, emergerebbe un “rischio psico-patologico”. L’indicazione è di “inserirli in comunità, magari anche con la madre e con un piano terapeutico”.

La violenza è ferma al penale e la giustizia non si è ancora espressa, ma intanto, in buona sostanza, la “somatizzazione”, la sofferenza e le tristezze dei due minori vengono ricondotte alla figura materna. I bambini, come scrive la CTU, “esplicitano di desiderare unicamente di vivere con la madre e nell’ambiente della sua famiglia di origine, ritengono prioritario restare sempre insieme, rifiutano con intransigenza qualsiasi contatto con il padre, dichiarano avversione nei confronti degli educatori, non mostrano interesse né curiosità esplorativa per l’ambiente esterno al loro nucleo, percepito potenzialmente minaccioso”.


In alcuni video e file audio in possesso della redazione si sentono ingiurie, bestemmie, pressioni esercitate del padre sui bimbi. “Pugni, li ha menati, ha usato le mani” ha detto mamma D. ai microfoni della Dire. I due minori per quell’aggressione, due anni fa, si sono recati al pronto soccorso. “Un padre violento che ha fatto loro queste cose, sono proprio loro che non vogliono vederlo. Mio figlio più grande, 13 anni, lo ha detto chiaramente al giudice, ma– ha raccontato la mamma coraggio- è stata riportata un’altra cosa”. I legali di D. hanno infatti presentato a luglio una formale denuncia sulla relazione del maggio 2021 redatta dall’esperta dello ‘Spazio famiglia e minori’ in cui viene riportato che il minore più grande dei due fratelli non avrebbe obiezioni alla casa famiglia, trattandosi di un “reset” di breve durata e di aiuto anche per la madre.

“All’inizio della udienza, costituite le parti- si legge nella denuncia- il Giudice disponeva che l’ascolto si svolgesse senza fono o video registrazione, senza la nostra presenza, ma solo alla presenza del curatore del minore e della dott.sa esperta. Di quanto accadeva in aula veniva dato atto con verbale di udienza manoscritto sintetico nel quale si legge chiaramente la posizione di mio figlio, che in sintesi di può così riassumere, con le stesse parole usate nel verbale; non voglio avere più rapporti con mio padre; penso che mia madre stia un po’ male come anche me e mio fratello perché questa situazione è complicata. Nonostante questo, è una donna forte e riesce ad occuparsi di noi; non credo che mia madre debba esser aiutata e io non voglio andare in casa-famiglia; il collocamento in casa-famiglia è una cosa stupida. Il 19 maggio la dott.sa depositava la propria relazione tecnica, dalla quale sorprendentemente apparivano cose ben diverse da quelle affermate dal bambino, ed in particolare affermazioni, mai pronunciate da mio figlio, circa il proprio consenso all’inserimento in casa-famiglia ed alla presunta necessità di aiuto della sottoscritta” si legge ancora nella querela.

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Sul Centro antiviolenza che ha seguito il suo caso mamma D. ha detto: “Il Centro ha tradito la mia fiducia. Io ho parlato con loro e hanno riportato all’assistente sociale quanto detto in confidenza, un mio sfogo”. Interpellata dalla Dire, Simona Ammerata, responsabile del CAV ha dichiarato: “Purtroppo il centro Antiviolenza è venuto a conoscenza del caso solo ad aprile 2021 quando oramai tutti i provvedimenti in sede civile erano stati già emessi compresi i decreti di collocazione dei minori in casa famiglia. Al fine di tutelarla e di richiamare l’attenzione sul caso abbiamo subito coinvolto e chiesto la presa in carico di D. alla Commissione di inchiesta sul Femminicidio del Senato, che sta svolgendo indagini sul caso. Riconosciamo la grande forza che D. sta dimostrando e seguiamo la situazione mettendo in campo tutte le nostre competenze per sostenerla e trovare le condizioni affinché si ripari al danno che sta subendo. Come per tutte le altre donne seguite, siamo state contattate dal servizio sociale competente relazionandoci in accordo con la donna, nel rispetto della privacy e dei suoi desideri, al fine di coadiuvare una buona risoluzione della situazione. Comprendiamo la rabbia, l’amarezza e la sfiducia di D. perché è evidentemente sottoposta da anni a una grave ingiustizia istituzionale e rappresenta un caso chiaro di rivittimizzazione secondaria e di mal funzionamento del sistema giudiziario che dovrebbe essere invece preposto alla tutela delle donne che hanno avuto il coraggio di allontanarsi da situazioni di violenza”.

D. si sente sola, accerchiata eppure ha la forza di denunciare ancora e così, grazie alla petizione lanciata dall’associazione Maison Antigone che negli ultimi tempi sta seguendo il caso, ha segnalato la sua storia a UN Woman (Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne) come caso di vittimizzazione secondaria e violenza istituzionale subita a causa della PAS (alienazione parentale) e distorsioni.

“Come presidente di Maison Antigone- ha dichiarato Nacca alla Dire- ho segnalato numerosi casi a UN WOMAN, inviando un archivio dei minori portati via alle loro madri, pubblicato anche sul sito Protective Mothers Italy. Hanno risposto in centinaia, comprese madri tedesche ed inglesi. È inconcepibile- ha spiegato ancora la Presidente- che nonostante le condanne del Grevio del 2020 e della CEDAW del 2011 e 2017, nonostante il Report di denuncia della Commissione Femminicidio del giugno 2021, che conferma la violenza istituzionale che viene agita su madri e minori che denunciano violenze paterne, ancora in questi giorni continuino ad essere emessi o confermati, nonché attuati decreti di ablazione non solo di bambini ma anche di ragazzi di 14 e 15 anni. Nonostante una Giurisprudenza di Cassazione esplicita ed assolutamente contraria”. Anche le deputate Rossella Muroni e Veronica Giannone hanno presentato interrogazioni sulla storia di D. e dei suoi figli. Intanto ogni giorno trascorre infinito nel timore che il campanello suoni e arrivi la polizia: “Noi- ha concluso D. tenendosi la fronte esausta- non abbiamo commesso alcun reato”.

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